Escursione antropologica all’Anello dei fojaroi del Grappa bellunese 

Per ritrovarsi a contemplare i resti di una civiltà perduta non è necessario compiere viaggi esotici e distanti: è sufficiente cercare sulle mappe le nostre valli più selvagge, raggiungerle, puntare il dito su un pendio scosceso o continuare ostinatamente per un sentiero poco battuto.

L’inizio del Sentiero Natura dei Fojaroi

Là dove il sole non arriva a sciogliere la brina, sotto alle fronde degli alberi su cui riposano di giorno i rapaci notturni, non è raro trovare i resti di ciò che era un tempo l’autentico vivere in montagna: poche pietre ricoperte di muschio che raccontano le fatiche di un mondo dai più dimenticato.

Un indicazione verso la fine del percorso (a nostro avviso quella più intrigante)

Il versante bellunese del Massiccio del Grappa è ricco di questo genere di luoghi, con borghi perduti incastonati tra le valli, brulicanti di natura, storia e di scorci emozionanti.

Arrivando a Seren del Grappa e proseguendo in auto lungo una stradina strettissima che porta in località Pian della Chiesa – dove incredibilmente (considerando la posizione isolata) si trovano anche una scuola e alcune attività commerciali – si incontra l’imbocco del “Sentiero Natura dei Fojaroi”.

Si tratta di un percorso avventuroso di circa 9 chilometri, contraddistinto da una forma ad anello e un dislivello di circa quattrocento metri.

Una bizzarra casera lungo il percorso

Il tragitto non è mai noioso per la varietà del paesaggio, tra frassini maggiori, aceri di monte, tigli, ma anche crepacci, ghiaioni e il letto di un ripido torrente.

Già dopo pochi minuti di salita sotto le fronde dei boschi di forra si incontra un primo capitello in sassi intonacati a malta di calce e di sabbia cava: ognuno dei colori avrebbe un significato preciso, dalla purezza del bianco al martirio del rosso.

Questo e quelli successivi, fino al completamento del percorso, sono i segni di un’antica devozione religiosa perdurata fino ai giorni nostri: il capitello dedicato a San Paolo “dae bisse”, per esempio, invocava la sua protezione dai morsi di serpenti.

Il pannello espositivo del GAL Prealpi e Dolomiti presente vicino al capitello spiega anche che “il 25 gennaio (data della sua conversione) si teneva una processione a piedi nudi sulla neve e si lanciava un sasso, più lontano andava più distanti stavano i serpenti”.

Il Col dei Bof

Una veduta su Col dei Bof

A un certo punto dal sentiero si vede spiccare un borgo, il Col dei Bof, interessante sia dal punto di vista architettonico, sia per la sua storia.

Occorre sapere che un tempo questi luoghi, se pur remoti e oggi “scomodi”, erano considerati strategici per una famiglia numerosa: era possibile coltivare, allevare, falciare, cacciare, fare legna e produrre carbone in libertà, con un’economia di sussistenza che funzionava anche grazie a una coesa vita di comunità.

Scalini e staccionate in mezzo al borgo di Col dei Bof

A permettere questo tipo di sopravvivenza furono soprattutto gli “usurpi”, una forma di occupazione della proprietà comune rivendicata dalla gente del posto senza chiedere il permesso alle autorità.

I terreni furono gestiti attraverso una sorta di autogestione, prima dalla Regola (come in Cadore) e poi dal Comune.

Un casolare abbandonato

Nella soleggiata Col dei Bof, con le sue case in legno e pietra costruite una vicina all’altra, gli abitanti preferirono raggrupparsi in una zona precisa, invece che starsene in aree isolate.

La stalla e l’abitato stavano sotto lo stesso tetto, così da restare al caldo almeno al piano terra, mentre il fienile e le camere da letto si trovavano al piano di sopra, sotto un soffitto a volta. Il gabinetto, chiaramente, era esterno.

Un capitello a Col dei Bof

Oltre alla cantina, presente in ogni casa per conservare gli alimenti, c’era una “giazera”, una sorta di congelatore naturale scavato nella roccia, simile a un pozzo, riempito di neve compressa, che permetteva di conservare alcuni alimenti come il latte e il burro. Oggi sul Col dei Bof è presente qualche abitazione restaurata o in restauro e persino un bed & breakfast, ma in questa stagione il borgo è pressoché deserto.

I Fojaroi

I due esempi di Fojaroi restaurati e aperti alla visita

Proseguendo da Col dei Bof nella parte forse più ripida del sentiero, scartando sulla destra diverse rovine e costeggiando antichi muri a secco, si raggiunge, dopo qualche chilometro in salita, due Fojaroi, protagonisti di questo sentiero, fedelmente restaurati a fini didattici: si tratta di edifici coperti da fronde di faggio, nei quali si rifugiavano le famiglie che lavoravano nell’alpeggio.

Servivano grandi abilità per riuscire a costruirli partendo unicamente da risorse naturali, ma la conoscenza si trasmetteva generazione dopo generazione, anche perché i fojaroi erano spesso esempi di comunità coese: tra famiglie ci sia aiutava, si condividevano le risorse a disposizione e i prodotti dell’alpeggio.

Specialmente il tetto, affinché fosse impermeabile e ben isolante, diventava un’impresa ardua da completare da soli. “Fojarol”, come termine, definisce effettivamente la tecnica per fare il tetto e non l’edificio in sé, che poteva essere un rustico (ovvero dove si abitava), oppure un “casarin” (dove venivano conservate le risorse).

Altri tipi di edifici in rovina

Oltre a questi edifici, le famiglie impiegate nell’alpeggio costruivano delle strutture, temporanee o semipermanenti, utili al loro lavoro: la “speloncia”, spesso sfruttando cavità carsiche, dove conservare per diversi giorni il latte per poi farne il formaggio, o il “cason d’aria”, ovvero una struttura a pianta quadrata con intrecci di frasche, per ventilare il latte e mantenerlo fresco.

Altri tipi di edifici in rovina

La valle ombrosa

Dopo aver letto con attenzione i pannelli, ricchi di informazioni interessanti e aneddoti su questi elementi, è possibile procedere verso la parte più intrigante del percorso: in discesa, seguendo una vallata ombrosa e gelida, si scende lungo il letto di un torrente arido.

Il torrente e le rovine di un piccolo abitato

Successivamente si costeggerà un pendio roccioso lungo un sentiero ben popolato dalla fauna, per scendere quasi fino al piano della strada e tornare a Pian della Chiesa.

Il sentiero prosegue in discesa verso il Pian della Chiesa

Lungo il letto di questo torrente (facendo attenzione al ghiaccio sulle pietre) si raggiungono le rovine di un piccolo villaggio, o comunque di una serie di edifici, posizionato sotto a un pendio scosceso a sinistra: il silenzio e l’aspetto sinistro degli edifici diroccati e consumati dal muschio fanno pensare a quanto il tempo rimanga indifferente alle nostre questioni umane e a come la sopravvivenza della vita in montagna dipenda unicamente da noi.

Le rovine di una serie di edifici

Come una maledizione, che possiamo rimandare solo rispettando la natura e dandoci una mano a vicenda, perché altrimenti, prima o poi, il muschio arriverà ad avvolgere anche il nostro villaggio.

L’ultimo capitello lungo il sentiero

(Foto: Qdpnews.it ©️ riproduzione riservata).
#Qdpnews.it

Total
0
Shares
Articoli correlati