Le fortune californiane di Pietro “Piero” Bernardi: “Pane, Vino” e quei sapori veneti che incantano Hollywood

Piero Bernardi

“Ci vuole un bel po’ di fortuna” ci dice sorridendo Pietro “Piero” Bernardi, con il suo accento che scivola sulle consonanti per lo slang americano. Ma noi lo sappiamo che la fortuna non basta per arrivare a fare quello che ha fatto lui, per riuscire a portare un pezzo di Veneto nella California del cinema e dei famosissimi. Ci vogliono soprattutto l’entusiasmo e la nostalgia, l’ostinazione, la voglia di scommettere sulla bellezza delle cose semplici, quelle che apprezziamo da bambini e che poi tendiamo a dare per scontate: con queste caratteristiche, quel piatto che la nonna serviva umilmente con un tozzo di pane e un mezzo bicchiere di vino è capace incantare i più cinici critici enogastronomici d’America. 

Piero nacque a Fonte, in via Pagnano, nel 1952. Suo padre Marcello era un contadino, proprietario di qualche filare di vite e un grande allevamento di polli. “Era un uomo estremamente generoso ma un po’ ingenuo. A lui bastava lavorare, ma non era molto bravo a tenere i conti”. Per un mancato pagamento dovuto a un accordo non rispettato da altri, l’impresa finì nei guai e andò in bancarotta. “Fu un periodo difficile. Perdemmo i capannoni e tutto quanto. Poi però arrivò una lettera dagli Stati Uniti”. Siccome i nonni di Piero erano stati in California nel 1900, una parte della loro famiglia era rimasta lì, lasciando aperta la possibilità per i Bernardi di tornare negli Stati Uniti. 

“Odiavo l’idea di partire. Avevo sedici anni e qui a Fonte avevo una vita – spiega Piero, – Frequentavo la seconda alla Ragioneria dei Filippin. Ho pianto per tutto il viaggio. Quando sono arrivato a Santa Barbara mi sono sentito solo, completamente isolato. Ogni tanto penso a quanto sia diverso oggi: in California ho una televisione che mi consente di vedere i canali italiani, leggere sui giornali online cosa accade qui, telefonare per sentire come sta la gente. A quell’epoca sarei tornato a casa a piedi, se avessi potuto”. 

A quel tempo negli States cercarono di convincere Piero a studiare medicina, per non avere problemi economici in futuro, ma lui pensava all’Italia e lì voleva tornare: così frequentò un buon college per tre anni, poi si trovò un lavoro come agente immobiliare, poi a diciott’anni fece il cameriere nei ristoranti italiani. “Un bel giorno finii a lavorare in un albergo che si chiamava El Incanto, dov’ero il pupillo degli ospiti, quasi tutti anziani: li portavo a giocare a golf, versavo loro da bere e mi adoravano. In quell’albergo c’era uno chef inglese che aveva il vizio di bere parecchio, così quando era ubriaco lo sostituivo io in cucina. Fu un successo, tanto che la gente mi mandava le mance in cucina. Poi l’albergo venne venduto, perché i gestori erano pieni di debiti”. 


Da lì, Bernardi finì a lavorare a Montesito: era una comunità di attori, produttori e musicisti, tutti molto famosi e pronti a dare grandi feste. “In quel periodo le cose non mi andavano bene, così mi sono stufato e ho deciso di tornare in Italia. Il mio sogno era quello di tornare in Veneto e sposarmi. Invece rientrai in America: degli amici mi chiesero di aiutarli ad aprire un ristorante”. Tornato in California, con altri soci, Piero inaugurò nel 1976, in una periferia per nulla gradevole, “Via Veneto”, che offriva i classici piatti della cucina italiana, ovvero quelli che piacevano agli americani. “A loro piacevano le lasagne, le polpette: gli gnocchi non si vendevano perché erano troppo poco calorici” racconta. 

Non lontano da quel quartiere, in un ranch, veniva in vacanza niente di meno che Ronald Regan, che si portava appresso uno staff di cinquanta persone. “Il suo personale veniva quasi ogni sera a cena da me”. Nel 1980 un imprenditore di Verona che aveva una compagnia d’importazione di prodotti alimentari italiani convinse Bernardi a diventare un suo rappresentante a Los Angeles. “All’inizio fu davvero difficile, – ci racconta – poi mi affiancarono a un venditore che aveva di competenza l’area migliore: quartieri come West Hollywood e Malibù. Conobbi praticamente tutti gli chef italiani di Hollywood, pranzavamo con loro ogni giorno”. 

Diventando un salesman sempre più accorto, Bernardi si accorse di un problema che limitava moltissimo la crescita dell’azienda: acquistava le merci prendendole dai magazzini di altri broker, non importava prodotti direttamente dall’Italia. Di conseguenza, la ditta per cui lavorava aveva lo stesso catalogo di tutte le altre. “Perché non importiamo dall’Italia prodotti diversi, autentici?” si domandò. “Mi fecero un’American Express e mi dissero: fai quello che vuoi. Così ho girato l’Italia, stringendo la mano e firmando contratti con De Cecco, Barilla e moltissimi altri gruppi. Quando tornavo negli Stati Uniti portavo i vari prodotti tipici agli chef, li invitavo a pranzo affinché li assaggiassero”. 

Nonostante il successo della compagnia e l’affetto del titolare nei suoi confronti, Piero intraprese un’altra strada, senz’altro più complicata: “Un giorno mi chiamò il titolare di una gastronomia, inserita in un centro commerciale. Quando arrivai su era tutto chiuso e spento: avevano deciso di licenziare tutti e chiudere. Il posto era minuscolo ma una vera chicca, una sorta di casoin: ottanta metri quadrati, tutto in legno, con un piccolo patio. Spiegai al proprietario che era un peccato e lui mi domandò: perché non lo prendi tu? Parlai con mio fratello e mia sorella, a quel tempo giovanissimi, e li convinsi a venire a lavorarci, per vendere panini, polli, prodotti italiani di qualità”. Serviva però qualcosa in più: serviva uno chef di prestigio.

Fu allora che Piero Bernardi conobbe lo chef friulano Claudio Marchesan, portandolo nel suo piccolo ma curatissimo locale, “Pane e Vino”. “Mi è costato una fortuna, perché ho dovuto pagare anche tutte le sue multe – ride oggi Piero – Nell’86 mi aiutò anche a importare negli Stati Uniti il radicchio di Chioggia, organizzando tre serate in collaborazione con la Regione Veneto”. Il locale condotto da Bernardi e Marchesan andò benissimo: il menù semplice piaceva tantissimo. Ne parlarono tutti i critici, tutti i giornalisti specializzati e senza mai pagare un centesimo in pubblicità. “C’era chi tornava quattro volte a settimana. E sto parlando anche di clienti come Michael Douglas e Sylvester Stallone. Jerry Garcia è venuto tutte le sere per un mese intero”. 

Ma l’impresa di Bernardi era pronta a raddoppiare: lo chiamarono dal “Gallo”, un ristorante dove l’Ufficio Immigrazione aveva portato via tutto il personale, compreso il cuoco, e che non erano più in grado di gestire. “Andai io da solo con due cuochi messicani. Risistemai il locale e aprimmo. Fu come avere la bacchetta magica: alle undici di sera c’era la coda fuori. Io rimasi a cucinare lì finché non venne a chiedermi lavoro Bruno Guercini, un abile norcino che oggi abita ancora in Georgia. Gli consegnai il grembiule”. In quel periodo, Bernardi registrò, anche grazie a due giovani manager di sala, un profitto che era pari al 30 per cento del fatturato, se non di più. “Distribuii i profitti anche al personale, ma considerai che non avrei potuto proseguire l’attività con la ditta d’importazioni”. 

Bernardi aprì un “Pane e Vino” anche in Beverly Boulevard. Tra gli investitori di quel posto c’era, giusto per capire la zona, anche Bruce Willis. “Diventammo famosissimi. Scrissero di noi sul LA Times e su Gourmet Magazine (due volte). C’era un problema però: le celebrità, che lì si vedono per strada, chiamavano all’ultimo per farsi preparare un tavolo. E ogni volta bisognava prepararglielo”. 

Nel 1994 il padrone del centro commerciale a Montesito tentò di aprire un altro ristorante italiano a cento metri dal “Pane e Vino”: per impedirglielo, Bernardi accettò di gestirselo da solo e lo trasformò in una pizzeria e friggitoria. Nel 2000, invece, ispirato da un bacaro di Venezia, aprì il ViaVai, dove introdusse in modo ancora più frequente prodotti tipici come cotechini, i porcini, le puntarelle, i chiodini (che – racconta – spuntano sotto gli avocados di Santa Barbara), ma anche i bruscandoli. “Dietro casa mia, a Santa Barbara, ho una piantagione di rustegot più grande di quanti se ne possano trovare qui. Ho sempre fatto ciò che conosco: le cose semplici del posto dove sono nato”.

Ma Piero Bernardi, oggi Cavaliere della Vite e del Vino della Confraternita dei Vini Asolo Montello, non ha investito soltanto negli Stati Uniti: nel 2004 a Monfumo ha comprato un grande edificio in rovina, accogliendo professori americani e corsi di leadership per imprenditori. Poi ha ristrutturato la stalla dei nonni e altre due case a Fonte (in una di queste – racconta lui – si dice che sia passato Sant’Antonio), per poi costruire anche una casa per sé. “Mio papà mi manca molto – racconta Piero – So che sarebbe stato orgoglioso. Mi diceva sempre “Vai adagio” e così ho fatto”. 

Piero, che abbiamo intervistato alla Cantina Dal Bello, racconta anche che realizzò anche quel sogno di sposarsi in Italia, sebbene con una ragazza tedesca: “Venimmo qui in vacanza. Andai dal prete il martedì e domandai di sposarmi quello stesso sabato. Ho insistito molto: alla fine ci hanno sposati in Curia a Treviso”. Oggi Piero ha tre figlie, Elisa, Chiara e Gioia, che hanno già vissuto per qualche anno nell’Asolano. “Vorrei che venissero a vivere e lavorare qui, ma bisogna avere pazienza – ammette – Gioia, la più piccola, che è molto vicina alle questioni della sostenibilità, vuole venire in Italia perché negli USA, secondo lei, non fanno abbastanza per salvare il mondo”.

“E adesso fare quello che ha fatto lei sarebbe possibile?” gli chiediamo.

“Sarebbe molto difficile. È cambiato tutto. Negli States si va per lavorare, per fare soldi. Quando hai finito la giornata accendi la televisione e non hai più la forza di fare nient’altro. E poi è troppo caro. Una casa a Santa Barbara in media costa più di un milione e mezzo di dollari. Anche i ristoranti sono un problema: è impossibile comprare i muri. Anche qui in Italia è cambiato moltissimo: vedo tutto molto focalizzato sui vigneti. Ma c’è tanta passione in questo territorio: gente che fa le cose per bene, per la passione più che per i soldi”. 

(Foto: Qdpnews.it ©️ riproduzione riservata). 
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