I diari inediti del pittore opitergino Giulio Ettore Erler commentati a Oderzo da Raffaello Padovan

Un sorprendente interesse ha suscitato domenica 26 febbraio a Oderzo la lettura e i commenti ai diari di Giulio Ettore Erler (1876-1964), pregni di riferimenti al microcosmo opitergino e agli ambienti culturali veneti tra Ottocento e Novecento.

Organizzato dalla Parrocchia di Oderzo nella Sala Auditorium del Museo del Duomo, l’incontro è stato introdotto da Maria Teresa Tolotto (direttrice dell’Archivio di Oderzo) e condotto dallo storico dell’arte Raffaello Padovan, socio ordinario dell’Ateno di Treviso e autore di un recente saggio (pubblicato sulla rivista «Fragmenta») relativo all’epistolario del pittore opitergino Gian Battista Carrer.

Le centinaia di pagine del diario manoscritto, conservate e poi dattiloscritte da Irma Simioni (modella e allieva di Erler), costituiscono una fonte preziosa di informazioni sull’infanzia (tra cui i concitati primi mesi di vita), sull’origine della famiglia, e sulle relazioni con i parenti Cappellotto ed Erler (tra cui il fratello Giuseppe, anch’egli pittore), sugli insegnanti di Venezia e sugli artisti dell’epoca. Sono pagine di alto spessore letterario che, oltre ad agevolare la ricostruzione biografica dell’autore, ricompongono la trama delle relazioni e dei personaggi vissuti nel contesto opitergino nel primo Novecento.

Donne al balcone – opera del pittore Giulio Ettore Erler

Giulio Ettore Erler nacque a Oderzo da una famiglia borghese originaria di Salurn (Tirolo). Conseguita l’abilitazione all’insegnamento presso l’Accademia delle Belle Arti di Venezia (1895), divenne docente di Disegno all’Istituto “Paolo Sarpi” di Venezia, presso la Scuola d’Arti e Mestieri “Umanitaria” di Milano (ove conobbe l’intellettuale bellunese Arrigo Boito), all’istituto “Jacopo Riccati” di Treviso (1903-23) e di Disegno di Figura all’Accademia di Belle Arti di Brera (1917-18). Ammesso all’Union Nationale des Arts et des Lettres di Parigi (1910), partecipò all’esposizione di molte importanti mostre d’arte internazionali. A partire dal 1922 si stabilì definitivamente a Treviso, gravitando regolarmente ad Alleghe nell’Agordino, ove nel 1912 si fece costruire un “piccolo maniero teutonicheggiante” (A. Miolli), ma soggiornò anche a Positano in Campania, ove strinse amicizia con il pittore ucraino Ivan Zagorujko (1896-1964).

Avverso a ogni forma di convenzionalismo, di accademismo o di melenso pittoricismo, Erler viene catalogato come un “riformatore modernista” (R. Costella), incline a “delineare sul filo di una pennellata robusta i vettori della forma, cioè le linee di forza dell’immagine” (P. Rizzi). Sostenuto dalla “saggia e sana misura dei grandi principi che hanno sempre guidato la sua vita e la sua arte” (S. Bolognini), ha approfondito lo studio del paesaggio e della figura con un “linguaggio realistico e di ricerca di armonia formale”, rappresentando “la luminosità dei paesaggi fluviali veneti, delle vedute cittadine trevigiane e l’intimità di candide figure femminili” (R. Costella). Lasciò anche un discreto numero di opere d’arte sacra nelle chiese cenetensi di Oderzo, Fratta, Faè, San Vincenzo, Mareno e in altri paesi della diocesi di Treviso.

Oltre alla pittura, Erler coltivò dunque l’interesse per la letteratura, come dimostra non solo l’eleganza e il gusto di queste pagine, ma anche l’amicizia con Giovanni Comisso (1895-1969) e il ritrovamento di un’interessante commedia in tre atti, scritta sullo stile del letterato trevigiano Luigi Sugana (1857-1904). Raffaello Padovan si è poi soffermato sulla quasi sconosciuta produzione cartellonistica di Erler, aspetto finora sottovalutato anche a causa di una fuorviante confusione con l’omonimo artista tedesco Erich Erler (1870-1946).

Infine è stato acutamente osservato che il noto quadro delle tre donne affacciate al balcone con una di loro che lascia cadere dei petali oltre la ringhiera (esposto permanentemente alla Fondazione Cassamarca di Treviso), è stato realizzato a fine Ottocento (come si evince dai costumi) e con un intento ben lontano dalla strumentale interpretazione imposta dalla retorica patriottica italiana, che lo ha intitolato al “passaggio delle falangi vittoriose a Vittorio Veneto del 1918”.

Vissuto per lo più in uno stato di isolamento, Giulio Ettore Erler “non si è piegato all’arte celebrativa del regime e non ha voluto adattarsi a nessuna moda, perseguendo una sua strada, nobile e per certi versi austera” (P. Rizzi), refrattaria a ogni ideologia di guerra.

(Foto: Facebook Fondazione Cassamarca – Locus Globus – Renzo Miotti).
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