Schianto nel giorno di Pasqua, il pediatra che soccorse il piccolo Leonardo dedica una lettera al bimbo morto: “Non so cosa avrei dato per riabbracciarti”

Schianto nel giorno di Pasqua, il pediatra che soccorse il piccolo Leonardo dedica una lettera al bimbo morto
Schianto nel giorno di Pasqua, il pediatra che soccorse il piccolo Leonardo dedica una lettera al bimbo morto

Il piccolo Leonardo è morto l’8 maggio scorso, un mese esatto dopo quel terribile incidente stradale avvenuto nel giorno di Pasqua lungo la Postumia, a Motta di Livenza. Quel giorno il bimbo di due anni era a bordo della Fiat Punto guidata dal padre quando il veicolo si scontrò frontalmente con un’auto che viaggiava nel senso opposto.

In seguito all’impatto, violentissimo, Leonardo andò in arresto cardiocircolatorio. Il primo a soccorrerlo in quei momenti disperati, in attesa dell’elicottero del Suem 118, fu Giorgio Cuffaro, pediatra pordenonese che grazie a 15 minuti ininterrotti di massaggio cardiaco riuscì a rianimare il piccolo, in seguito elitrasportato all’ospedale di Padova in condizioni disperate dove nei giorni scorsi è spirato dopo un mese di lotta per la vita nel reparto di terapia intensiva. 

Appresa la notizia della morte di Leonardo, sul proprio profilo Facebook, il pediatra ha dedicato una lettera al piccolo: una dichiarazione d’amore ma anche un monito sull’importanza dei corsi di primo soccorso che dovrebbero essere “obbligatori e capillari” per tutti, non solo per il personale medico.

La lettera 

“No, non sono stato un eroe. Ho solo fatto, nel miglior modo possibile, il mio dovere, di medico e cittadino”. Inizia così la lunga e commovente lettera rivolta a Leonardo. “Perché sì, ogni cittadino è tenuto a soccorrere. E ogni cittadino dovrebbe, a mio avviso, sapere esattamente cosa fare in situazioni simili, indipendentemente che poi ci riesca o meno. Non ho perso un attimo, sai? Quando ho capito che non respiravi e il tuo cuore non batteva, ti ho preso in braccio, messo in sicurezza, valutato rapidamente e iniziato a massaggiare e ventilare senza perdere un istante, come da linee guida. Il tuo papà mi ha detto che erano passati solo pochi secondi dall’incidente. Che fortuna!, ho pensato. Ero fiducioso. Ce l’ho messa tutta, sai? In quel momento eri improvvisamente diventato un mio paziente, anzi, il mio paziente ed io il tuo pediatra. E ai miei pazienti, credimi, cerco sempre di dare il meglio”. 

“A dire il vero eri un po’ paziente e un po’ figlio perché coi miei pazienti, in genere, non mi viene da piangere quando mi prendo cura di loro e con te, a tratti, dovevo trattenere le lacrime e concentrarmi su ciò che dovevo fare, perché andava fatto subito e bene, e così è stato. Il tuo papà l’ho fatto avvicinare e gli ho detto di tenerti la mano, ricordi? So che ne aveva bisogno, ne avevate bisogno, ne avevamo bisogno. Ci siamo fatti forza a vicenda fino all’arrivo dell’ambulanza. Eri il mio paziente con un enorme bisogno di aiuto e io, quell’aiuto, ho cercato di dartelo anima e corpo, massaggiandoti e ventilandoti ininterrottamente per almeno 15 minuti, qualcuno dice 20, poco importa. Non sentivo la fatica, sai? Comprimevo bene e, il tuo piccolo torace, a ogni ventilazione, si espandeva come da manuale. La fatica l’ho percepita solo il giorno dopo, quando le mie ginocchia non erano più in grado di fare le scale o altri movimenti banali a ricordarmi, a ogni passo, cosa fosse successo il giorno prima”.

Non ci ho pensato un istante se ventilarti o meno bocca a bocca, sai? Non potevo permettermi di negarti anche solo una infinitesima possibilità di salvarti nonostante, negli ultimi anni, nei corsi di primo soccorso la respirazione ‘bocca a bocca’ sia sconsigliata, per questioni igieniche. Questioni igieniche, capisci? Il tuo volto, dopo pochi istanti, è tornato roseo, a dirmi che stavamo andando bene, e non mi sono perso d’animo. E tu ci hai messo del tuo, quando il tuo cuoricino ha ripreso a battere regolarmente, con forza. Non credevo alle mie dita, alle mie orecchie, ai miei occhi. Non è facile in quelle circostanze, per un ‘pediatra semplice’ come me, reperire un accesso vascolare, sai?”.

Ma può essere fondamentale, per somministrare liquidi ed eventualmente farmaci. Eri il mio paziente, e ci ho pensato io in un istante, senza difficoltà, come fosse la cosa più naturale del mondo, in una situazione simile. Tutto sembrava davvero andare per il meglio ma, purtroppo, qualcosa era già andato storto, e io non potevo saperlo.

Non sai cosa avrei dato per salvarti per davvero e un giorno, magari, sì, poterti abbracciare. O guardarti giocare, correre, saltare, anche solo in silenzio e da lontano.

La mia sola piccola grande consolazione è aver dato a te e ai tuoi portentosi genitori un po’ di tempo, per parlarti, accarezzarti, coccolarti. Sono certo tu, con loro, abbia fatto un bel pieno di Amore, dopo il nostro incontro. La notizia è trapelata, come anche le tue foto (non sempre oscurate), il tuo nome e il tuo cognome. Che fosse proprio necessario? Ora spero proprio vi lascino in pace. E che i nostri politici, nei loro programmi acchiappa-like, trovino spazio per rendere i corsi di primo soccorso obbligatori e capillari, dalle scuole medie inferiori in poi. Il tuo pediatra, dottor Giorgio”.

(Foto: Facebook Giorgio Cuffaro pediatra).
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