Dalle piantagioni veronesi di tabacco Kentucky, di padre in figlio, l’ingrediente segreto del sigaro orsaghese

Chi fuma lo sa, dietro al tabacco si apre un mondo, e chi apprezza i sigari ne riconosce uno di qualità a colpo d’occhio: è su questo target di clientela che si basa l’impegno di Andrea Casagrande e Philip Pietrella, amministratore delegato e direttore marketing del Moderno Opificio del Sigaro Italiano.

Seguendo la curiosità suscitata dal primo approccio al sigaro Ambasciatore Italico (qui l’articolo), Qdpnews.it è stato invitato a testare con mano cosa significa gestire una piantagione di tabacco.

Il sigarificio di Orsago coltiva da cinque anni il proprio tabacco a Verona, più precisamente a Pilastro di Bonavigo, dove le condizioni climatiche e ambientali sono tra le favorite dell’intero stivale, seconde soltanto alla fascia tiberina.

È qui, che tra grandi essiccatoi in pietra e infinite distese di coltivazione ci avviciniamo alla cultura del tabacco Kentucky, un tabacco particolare, unico nel suo genere, che si distingue da quello caraibico per la sua lavorazione.

La varietà Kentucky infatti risulta essere l’unica a venire essiccata con la modalità a fuoco, ci racconta Giancarlo Guzzo, produttore e coltivatore della tenuta: “È il fuoco che gli dà quel profumo caratteristico”, dice.

Il processo per arrivare a fumare un sigaro fatto e finito però è molto più articolato di quel che sembra e Giancarlo, insieme ad Andrea e Philip del sigarificio orsaghese, sotto il sole veronese ci svelano il perché, partendo dalle origini: “Il seme di tabacco è impercettibile al tatto quindi viene incapsulato e trapiantato in vassoi come succede per le coltivazioni di fragole: viene seminato a fine febbraio ed essendo una pianta molto sensibile va protetta dalle gelate con delle coperture di nylon”.

Quando poi viene trapiantato a terra si aspetta la prima fioritura, che per quanto bella andrà tagliata perché comprometterebbe la qualità delle foglie. Da lì si procede con la prima selezione delle foglie ormai diventate grandi e carnose: si raccolgono le prime 8 dall’alto, quelle che hanno preso più sole, dopo una quindicina di giorni si potrà procedere con le successive.

Qui inizia la fase più delicata, ovvero l’essiccazione e l’amarronamento: il procedimento a fuoco deve essere meticoloso alternando caldo e umidità, altrimenti potrebbe marcire o bruciare un’intera partita.

Le foglie si appendono negli essiccatoi dove grazie al calore, da verdi diventeranno marroni in 4-5 giorni.

La seconda fase consiste in un gioco di umidità: là si asciuga del tutto e poi si restituisce, per mantenere le foglie integre e maneggiabili.

Ora si possono trasportare in laboratorio e analizzare sotto una luce apposita per trovarvi eventuali difetti, facendo così una selezione di 6-7 tipologie di tabacco: dalla fascia più chiara alla più scura, compresi ripieno e fascia.

L’ultimo step prevede la preparazione delle foglie di tabacco nella sede di Benevento, dove si darà forma al sigaro così come lo conosciamo.

II sigaro Ambasciatore Italico è facile da riconoscere perchè ha 3 caratteristiche particolari: è un tabacco scuro curato a fuoco, ha una forma bitroncoconica, che permette di fumarlo anche a metà e per finire ha una sola fascia.

La filiera poi viene seguita a 360 gradi: dalla piantumazione al prodotto finito, l’Italico viene monitorato in ogni suo aspetto con dedizione, parallelamente ai progetti di ricerca e sviluppo: “È una fatica che ripaga: non c’è una vera e propria scuola e non ci si può improvvisare esperti del mestiere: ci si tramanda la tradizione di padre in figlio quindi è la passione il vero motore”.

“Ogni tanto prende fuoco un intero capannone e ci tocca ripartire da zero – confessa Giancarlo – rifare il tetto e buttare parte del lavoro, ma quest’annata pare buona e siamo fiduciosi, cerchiamo di seguire un metodo antico che caratterizza il prodotto in modo eccellente, quindi a fine giornata ogni sforzo è valso la pena”.

(Foto e video: Qdpnews.it © riproduzione riservata).
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