Covolo ha salutato Ottorino Petrin. Gli amici: “Uomo d’immensa bontà, ha rappresentato i lavoratori”

Questo pomeriggio nella chiesa parrocchiale di Covolo è stato dato l’ultimo saluto a Ottorino Petrin, mancato improvvisamente all’affetto dei suoi cari all’età di 62 anni. In molti lo ricordano come un uomo di immensa bontà, che ha dedicato la sua vita alla famiglia e al lavoro. Era in pensione da alcuni anni, dopo aver lavorato una vita alla Sirti nel cantiere di Mareno di Piave come giuntista di linee telefoniche.

“È stato per molti anni un rappresentante dei lavoratori – si legge in un ricordo pubblicato nella pagina social Skatenati Electrolux e scritto dagli amici Augustin Bruno Breda e Manuela Marcon -, un delegato Rsu della Fiom Cgil, molto legato alla Rsu Fiom dell’Electrolux, per idee e azione, ed era anche un rappresentante dei lavoratori sulla sicurezza. È sempre stato persona di grande cuore, in tutti i sensi, e proprio il suo cuore ha ceduto”.

“Su questo suo cuore – continua -, troppo grande, ingrossato, aveva fatto una lunga battaglia per dimostrare che questa anomalia era dovuta al lavoro di giuntista. Un lavoro dove si prendono una miriade di micro-scosse, durante le operazioni di giunzione dei fili di rame, fili dove passano dati e voce, e che vengono eseguiti a linee telefoniche attive e mani nude, per la necessaria precisione dell’operazione. Scosse che, se pur molto lievi, nel tempo creano patologie cardiache”.

“Petrin questa tesi l’aveva prima intuita empiricamente – prosegue -, vedendo altri colleghi via via ammalarsi e poi morire, e poi provata su di sé, ammalatosi negli anni come tanti altri. Ma capa tosta com’era fu protagonista, con lo Spisal di Conegliano e con l’allora direttore dottor Moro, che capì la fondatezza di quanto sosteneva Petrin, di un tentativo, attraverso ricostruzioni dei morti, dei malati, di cartelle cliniche, di una lunga indagine per trovare il nesso causale tra lavoro e malattia, per avviare la procedura utile a dimostrare e far riconoscere quella patologia come una malattia professionale”.

“Nesso – conclude – che non furono in grado di stabilire con la certezza necessaria, utile ad arrivare a fissare conclusivamente anche all’Inail il riconoscimento della malattia professionale. Non ci riuscirono i medici e tecnici coinvolti da più parti d’Italia, fu coinvolta anche l’università, a dimostrare oltre ogni ragionevole dubbio quel nesso. Non fu allora possibile. La scienza ha fallito lì dove l’evidenza resta inconfutabile”.

Nel gruppo social lo hanno voluto ricordare per la sua passione per la vita, la famiglia, il lavoro, gli amici e la sua moto, il sogno di una vita.

(Foto: Onoranze funebri De Poi Fabio).
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