La Mostra dei Marroni del Monfenera è ormai una tradizione irrinunciabile per Pederobba: dopo quasi cinquant’anni rappresenta un evento segnato in grassetto sui calendari di gran parte dei cittadini della zona e, in modo particolare, un impegno ricorrente per i quasi duecento volontari che vi partecipano.
La longevità di una manifestazione, però, per quanto possa essere acceso l’entusiasmo degli organizzatori, dipende anche dalla volontà di migliorarla, un po’ come in una qualsiasi attività imprenditoriale.
È giusto ribadire, quindi, che se la Mostra ha ottenuto quel certificato di “Sagra di qualità” a Roma è anche per l’impegno silenzioso di chi ha lavorato per trasformare una semplice ricorrenza stagionale in una vera e propria festa di comunità.
Persone chiave che preferiscono rimanere nell’ombra o, come nel caso Nicola Suman, inventore e costruttore delle attuali macchine per la cottura delle castagne, nascosto tra le file della Banda di Pederobba.
Oggi, dietro il tendone principale, la Mostra custodisce tre macchine, due per cucinare i marroni e una per imbustarli: osservarne il funzionamento porta all’osservatore una sorta di tranquillità, di pace, come davanti a un acquario oppure a un caminetto scoppiettante.
Le fiamme deboli sotto il pentolone, il movimento preciso, perfetto e ripetitivo del volontario che imbusta le castagne e gira la leva, il cozzare tra loro delle castagne ancora avvolte nella loro scorza nera e poi il soddisfacente scarico di quei frutti del Monfenera, pronti per essere assaporati dagli avventori.
Ma per chi non lo sapesse, tornando indietro alle edizioni della Mostra che si svolgevano in piazza, quindi nella prima decade degli anni Duemila, le castagne venivano cucinate a mano, a cielo aperto.
Era un lavoro particolarmente faticoso (immaginate di mescolare a lungo quaranta chili di castagne) e dopo qualche ora il volontario diventava letteralmente tutto nero, con una temperatura man mano sempre più alta. Ma alle casse della Mostra arrivava ogni anno sempre più gente, che chiedeva edizione dopo edizione sempre più marroni del Monfenera.
Così il direttivo della Proloco, già allora guidato dal presidente oggi uscente Manuel Bresolin, pensò di investire (tempo e risorse) in un macchinario che consentisse di velocizzare il processo, renderlo automatizzato, con un conseguente risparmio di legna (che era diventato un investimento ingente) e di fatica.
La macchina avrebbe anche consentito di convogliare il fumo lontano dall’utente, rendendo anche più sano l’ambiente di lavoro. Di macchine così grandi, sufficienti a servire un paese e oltre, in commercio non ce n’erano, così Nicola Suman e altri volontari decisero di crearla da zero.
“Prendemmo spunto da una macchina molto più piccola, che avevano costruito alla festa di Santa Mama – spiega Nicola, venuto per caso a controllare la macchina ancora vestito da bandista e con lo strumento musicale in braccio, dopo l’inaugurazione della 49° Mostra dei Marroni del Monfenera; – Studiammo la meccanica, che era semiautomatica, e pensammo a progettarne una simile ma molto più grande e automatica. Pensai a costruirla con un sistema idraulico, così che mescolasse e scaricasse le castagne in autonomia”.
Nicola venne aiutato dagli amici e dagli altri volontari a raccogliere i componenti in aziende agricole della zona: un pentolone di qua, una pompa idraulica di là, un pistone da un’altra parte ancora. Nella sua officina, in casa sua, riuscì ad allestire dopo varie prove un primo prototipo.
Era il lontano 2007. “La Proloco fece congelare trenta chili di marroni dall’edizione precedente per provarli sulla macchina. Tra agosto e settembre, prima che iniziasse la festa, sperimentammo la prima cottura in piazza”. Fu un successo: la macchina funzionava senza problemi, tanto che nel 2010, con una richiesta sempre crescente, Nicola ne costruì una seconda, con un pentolone leggermente più grande, da trentasei chili.
Nicola, che in passato ha lavorato anche nel campo della progettazione meccanica, ci racconta che la vera spinta per costruire queste macchine viene da una passione, più che da un lavoro: “Ho sempre avuto una gran passione per la costruzione. Ho sempre amato i Lego, poi col tempo sono passato dai mattoncini di plastica ai pezzi di ferro”.
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