I volti dietro l’autoritratto del Canova: i dettagli sulla scoperta del nuovo dipinto alla Gypsotheca

 

Doveva essere un semplice restauro e invece è stata un’emozionante scoperta. L’autoritratto di Antonio Canova era stato scelto per inaugurare il laboratorio di restauro della Gypsoteca ma la tela ha svelato un mistero custodito per secoli: un secondo dipinto.

Questo è emerso grazie a una radiografia operata dalla ditta di diagnostica Cnr, che ha disposto quattro lastre sull’opera in modo da “leggerla”, realizzando così una sorta di fotografia a infrarossi.

Questa però è stata l’ultima fase, dato che il dipinto è stato prima analizzato con una riflettografia a infrarossi e un’analisi a luce ultravioletta, che permettono di capire se ci sono ridipinture, se la vernice è compromessa e se c’è qualcosa di soggiacente, consentendo così ai restauratori di non intervenire con prodotti troppo invasivi e dannosi.

“La fase preliminare è stata fondamentale per la scoperta del dipinto inedito – chiarisce Edda Zonta, la restauratrice che si è occupata del manufatto – perché il fatto che l’opera fosse stata già pulita ha facilitato la lettura da parte dell’infrarosso di tutti i passaggi compiuti dal Canova per arrivare al risultato finale”.

“Il restauro è un dialogo con le opere, fatto di domande e risposte – spiega – È come una staffetta, in cui noi restauratori raccogliamo il testimone e ci impegniamo a fare in modo che le opere d’arte mantengano il loro splendore a lungo, cosicché anche chi viene dopo di noi ne possa godere”.

Le indagini potrebbero proseguire, sia attraverso ricerche d’archivio sia attraverso indagini scientifiche, attuabili prelevando campioni di colore dall’autoritratto canoviano e dal lembo che svela il secondo dipinto, per verificare se i pigmenti e le terre utilizzate per creare i colori sono compatibili tra loro o meno.

Sottolinea infatti la restauratrice che ai tempi di Canova non esistevano i colori in tubetto, ma la pittura a olio veniva ricavata da elementi naturali: pietre, terre, tuorlo d’uovo, olio di lino e questi pigmenti sono gli stessi che vengono usati nel restauro, per evitare che col tempo i materiali diversi abbiano reazioni diverse e compromettano l’opera.

Dal 1798 al 1799 Canova ha vissuto in queste zone perché a Roma l’occupazione francese non lo faceva sentire al sicuro. In quei mesi ha realizzato diversi dipinti tra i quali l’”Autoritratto come scultore”.

Al di là del ritrovamento, che ha emozionato fortemente tutto lo staff del museo e i ricercatori che vi lavorano, l’analisi dell’opera racconta una storia altrettanto interessante: “In questo dipinto, compiuto proprio qui a Possagno, l’artista si rivolge all’osservatore con uno sguardo molto acuto e intelligente – spiega la direttrice del museo Moira Mascotto.

“In basso a destra vediamo la firma dell’artista e anche la data: si è raffigurato con gli attrezzi del mestiere e non è un caso il fatto che tenga il martello vicino al cuore. Un altro elemento importante è la Testa ideale, qualcosa su cui il Canova lavorava da tempo. – continua la direttrice – Alle nuove domande che sono sorte con la rivelazione delle due figure sulla tela potremmo trovare risposta soltanto dopo ulteriori ricerche”.

Alla gipsoteca di Possagno vi sono anche altre opere canoviane che necessitano di un restauro: a fare la differenza sono le donazioni, che possono provenire anche dai singoli privati oltre che dai grandi, generosi, amanti dell’arte e della sua storia. Sono in corso i lavori di ripristino della “Paolina Borghese” e del “Cavallo”, un imponente destriero in gesso propedeutico a una scultura in bronzo. Recentemente è stata avviata anche una raccolta fondi per restaurare il dipinto “Venere con Fauno”.

 

(Fonte: Laura Sambruna © Qdpnews.it).
(Foto e video: Qdpnews.it © riproduzione riservata).
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