L’arte diventa strumento per rievocare il proprio passato e dargli una nuova lettura: parlano anche di passato le tele di Loreto Martina, pittore originario di San Vendemiano, formatosi a Venezia, all’Accademia di Belle Arti sotto la guida di Edmondo Bacci. Opere che compongono l’esposizione denominata “Forme migranti”.
Dopo gli studi, l’inizio di una carriera durata ben 40 anni, con la prima personale nel 1984, accanto a svariate esposizioni, sia in Italia ma anche all’estero, oltre alla partecipazione a rassegne e a collezioni private.
La mostra, inaugurata lo scorso 16 marzo (patrocinata dal Comune di San Vendemiano e curata da Lorena Gava) è allestita nelle sale espositive della sede municipale di San Vendemiano e rimarrà aperta, a ingresso libero, fino a domenica 7 aprile.
Si tratta di una vera e propria galleria di oltre 20 lavori dell’artista, alcuni dei quali misurano anche sei metri di lunghezza.
Una mostra che è un omaggio all’artista, nato a San Vendemiano nel 1953, e alla madre, anch’ella nativa di quei luoghi. E proprio alla madre, ma anche al padre e al nucleo familiare, sono dedicati dei ritratti singoli e delle opere complessive, dove vengono espressamente indicate sulla tela la “madre” e la “nonna”, con il riferimento al loro nome di battesimo.
Una pittura che diviene anche memoria personale, con opere sullo sfondo del Friuli, la terra paterna all’interno di un complesso pittorico che, allo stesso tempo, funge da narrazione collettiva.
Narrazione collettiva che comprende i ricordi d’infanzia “sullo sfondo del Friuli, amata terra paterna”, dove è “centrale l’assenza del padre lontano per lavoro”. Ma anche luoghi apparentemente distanti, come il Golgota, dove avvenne la Crocifissione di Cristo, affiancato agli scenari del Carso, zona di morte della Prima guerra mondiale.
Tutte “geografie lontane, accomunate da un destino di vuoto e desolazione”, con un utilizzo narrativo del colore, con il rosso dominante che si accompagna al verde, usato per tracciare gli scenari delle suppliche e delle processioni dei contadini, sia veneti che friulani.
Una mostra, quindi, che rappresenta “la sua memoria personale”, così come ha scritto la curatrice Lorena Gava nella sua presentazione, con delle “tele dedicate a volti ed effigi familiari, autentiche narrazioni in bianco e nero, a tratti volutamente sbiadite e slavate, una galleria di figure e di corpi sui quali il tempo ha fatto il suo corso”.
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