“Lo hanno fregato e lo sanno tutti, Marco Pantani è uscito devastato dalla farsa di Madonna di Campiglio“: parole forti che hanno emozionato la gremitissima sala consiliare di Sernaglia ieri sera, sabato 25 febbraio, in occasione dell’ampia proposta culturale del “Festival del Sapere 2023“, organizzato da amministrazione Villanova e biblioteca comunale.
Applauditissimo a più riprese il giornalista sportivo Davide De Zan, volto noto di Sport Mediaset e amico di Marco Pantani, intervistato dal dottor Ezio Pederiva.
Una serata dalle tante emozioni, realizzata con la collaborazione di Sprint Vidor La Vallata, Società ciclistica Solighetto e AC Col San Martino (rappresentate da molti giovani atleti), che è nata per presentare “Pantani per sempre”, l’ultimo libro del figlio di Adriano De Zan (amatissimo giornalista e telecronista sportivo Rai scomparso nel 2001).
Lo “strapotere Pantani”, adorato dai tifosi e temuto dai “potenti”
“Pantani poteva vincere senza aiuti – ha affermato De Zan -, aveva qualcosa che gli altri non avevano, e non erano il doping o un motorino dentro il telaio. E’ stato un mito dello sport, il campione che fece amare il ciclismo a tutti, attirando le folle e testimoniando i valori autentici dello sport. Pantani era il ciclismo e questo non andava giù a molti, Federazione compresa, ecco perché si aprì a Madonna di Campiglio una caccia alle streghe contro di lui”.
Marco e Davide, molto di più di campione e giornalista sportivo: due amici veri
“Sono orgoglioso di essere stato suo amico – ha affermato più volte De Zan -, c’eravamo l’uno per l’altro sempre, non dimenticherò mai il suo abbraccio e le sue parole da vero amico quando mio padre morì prematuramente, il suo far aprire le transenne per concedermi un’intervista anche se Mediaset non aveva i diritti, le chiacchierate nei suoi momenti difficili, il suo dolore per essere stato accusato di colpe che non aveva e la sua sofferenza per l’accanimento della giustizia”.
Chi era l’uomo Marco Pantani?
“Marco era un ragazzo capace di toccare il cuore – ha detto De Zan -, sono stato contagiato dalla sua passione per lo sport che aveva amato profondamente fin da bambino. Era un ragazzo gentile, onesto, sincero e disponibile per i suoi tanti amici e per la sua famiglia”.
“Pantani era un debole e quindi cadde nel tunnel della droga“: la pugnalata più dura
Pantani non era un campione con il carattere debole, questa è una grande ca****a – ha insistito con tenacia De Zan -. Marco aveva due attributi esagonali e un carattere d’acciaio, era durissimo soprattutto verso se stesso. Lealtà e correttezza erano le sue doti speciali. La sua forza era che affrontava le esperienze dolorose come nessun altro (gravi incidenti e infortuni compresi)”.
La prima (e unica) doppietta Giro d’Italia -Tour de France
La doppietta Giro e Tour del 1998, con la maglia della Mercatone Uno, è ancora nella memoria di moltissimi tifosi italiani e stranieri. Pantani sembrava davvero imbattibile, soprattutto dopo l’impresa eroica sul Col de Galubier, quando vinse la tappa con 9 minuti di vantaggio sul fortissimo tedesco Jan Ullrich dopo una fuga lunga 50 km sotto l’acqua.
“Aveva fatto qualcosa di magico, era l’unico modo per vincere contro quel campione – ha precisato De Zan -, gli ho suggerito io di attaccare sul Galubier, era l’unico modo per battere Ullrich, che infatti in seguito disse che non avrebbe mai più inseguito Pantani in quel modo, era imbattibile per lui”.
Madonna di Campiglio, 5 giugno 1999: l’inizio della fine
Tappa Predazzo-Madonna di Campiglio, 5 giugno 1999: Pantani sta stravincendo il Giro con ampio vantaggio e si invola verso la quarta vittoria di tappa ma arriva la doccia fredda, squalifica per ematocrito superiore ai limiti consentiti. Perde tutto: Maglia Rosa, Giro e dignità.
“Quel giorno gli hanno strappato l’anima e il cuore, è stato devastante e da quel momento si è chiuso in un esilio doloroso dal quale non è più riemerso – ha evidenziato De Zan -. Il colpo che gli è arrivato nell’animo e nel cuore è stato più forte di tutto, un’umiliazione, una calunnia e un’offesa così grandi erano troppe anche per il carattere granitico che aveva fin da bambino. Pantani sapeva di essere totalmente innocente e di aver sempre agito con onestà, era una persona perbene, per lui la bici e il ciclismo erano la sua vita dopo tre Giri persi per sfortuna e infortuni gravi, correva perché aveva solo voglia di correre e di vincere in modo pulito“.
“Pantani è stato subito messo sul patibolo da molti giornalisti, ancor prima che ci fosse anche la minima certezza – accusa De Zan -. Gli hanno trovato 53 di ematocrito alle 7.30 del mattino, quando la sera prima aveva 48.2/48.3, così visto e testimoniato davanti ai giudici tre fidate persone del team di Pantani. Un 48 non può diventare un 53, è scientificamente impossibile”.
“E’ stato uno shock totale per tutti, tifosi e Paese intero erano sconcertati. E’ stata una cosa più grande di noi, gli hanno calpestato la dignità, lo abbiamo capito tutti che a Madonna di Campiglio lo hanno fregato. Il cuore della sua mamma Tonina è stato dilaniato, non voleva più vedere il Giro e partecipare alle corse che, per tanti anni, sono stati un Inferno e, prima, il regno di suo figlio”.
Il ritorno al Giro nel 2000 come gregario di Garzelli
Pantani dopo l’umiliazione di Madonna di Campiglio ritorna inaspettatamente al Giro vinto da Stefano Garzelli: “da vincitore indiscusso di grandi corse a tappe al più umile dei gregari, questo era Marco, che ha sempre avuto grande rispetto e fiducia per la Mercatone Uno Bianchi” ha ricordato il giornalista di Sport Mediaset ospite ieri a Sernaglia.
Il “crollo senza fine” del 2003 e la morte a Rimini nel 2004
“Nel 2003 tutti quanti i giornalisti, anche quelli che lo avevano sputtanato per rincorrere gli scoop, sapevano qual era il problema vero di Pantani (la cocaina) e sapevano che si stava curando, nessuno scrisse una riga, lo avremmo distrutto per sempre – ha svelato De Zan -. In quegli ultimi mesi per lui la coca era un’anestesia dell’anima per riuscire a distaccarsi da un dolore che non riusciva a sopportare”.
“La grande colpa di tutti noi è stato credere che si sarebbe risollevato anche da quel dolore troppo lacerante, un artiglio che lo squarciava, tutti speravano che, come sempre, sarebbe guarito. In quei mesi gli fu consigliato di rimanere solo, di riflettere su se stesso, ma (altra falsità diffusa dai media) non è mai stato lasciato solo, aveva una famiglia che gli voleva tanto bene come i numerosi amici che gli erano a fianco”.
Le ultime rivelazioni sulla morte di Marco Pantani: la Camorra scommise contro di lui
“La sua morte per overdose nella camera d’albergo di Rimini è un pilastro fatto di zucchero filato che non regge – ha detto De Zan -, i due luoghi del delitto (la squalifica umiliante di Madonna di Campiglio e la stanza dell’albergo di Rimini, dove nulla è avvenuto come è stato descritto). C’è un’intercettazione della Procura di Forlì che smonta tutto, sono le dichiarazioni di Renato Vallanzasca: in prigione un camorrista gli disse di scommettere sul secondo e il terzo della classifica del Giro 1999 perché Pantani non sarebbe arrivato a Milano. Furono alterate le provette per farlo apparire drogato e la Camorra prese un sacco di soldi da quelle scommesse. Le provette furono alterate con la deplasmazione del sangue per alzare l’ematocrito a proprio piacimento, la stessa commissione antimafia ha riconosciuto che il reato di alterazione delle provette è realmente avvenuto”.
Pantani perseguitato dalla Giustizia italiana: è corresponsabile della sua morte?
“Dalla giustizia italiana, sportiva e civile, ha avuto solo mazzate terrificanti – ha detto De Zan -, per lui era come se gli avessero dato l’ergastolo, sapeva di non essere creduto. Dentro aveva un dolore immenso e insanabile, per lui la legge non è stata uguale per tutti, tanto più che la legge del doping fu successiva alle condanne inflitte a Pantani, infatti quella legge era nata per l’ippica e per i dopatori di cavalli“.
“Il 12 dicembre 2000 Pantani, dopo la condanna penale di Forlì per i fatti relativi alla Milano-Torino (fu condannato a tre mesi quando una legge sul doping non c’era ancora per quello specifico reato) – ha concluso il giornalista di Sport Mediaset -, mi disse: “Davide, per quanto mi impegni a mostrare normalità di fronte alla gente, quello squarcio non si ricuce, è un dolore insanabile, quel giudice non ha la minima idea del male che mi sta infliggendo, un immane senso di ingiustizia che si trascina da Madonna di Campiglio. Trovarmi ad essere giudicato e condannato, pur avendo tutto a mio favore, mi fa cadere i coglioni”.
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