Quanti di noi, in quella fase dell’infanzia in cui l’ingenuità può rendere crudeli, hanno posato volontariamente la propria scarpa su una fila di formiche, credendo che quel sacrificio fosse insignificante.
Cos’è una formica, in confronto al divertimento di un bambino? E allo stesso modo, probabilmente, funziona la guerra: cos’è una città, cos’è la casa di una famiglia, in confronto a una guerra mondiale?
Così la prospettiva gioca un ruolo fondamentale nel giustificare un bombardamento, perdonando in qualche modo i suoi autori. Proporzioni, numeri, statistiche che, proiettati in scala uno a uno, fisicamente nella dimensione delle vittime, perdono di significato.
I trevigiani avevano sentito quell’allarme ormai così spesso, che lo spavento – alle 13.06 di venerdì 7 aprile 1944 – non mise subito tutti in allarme. Quando esplose il primo ordigno, verso le 13.24 secondo quanto confermano i registri dell’Air Force, in molti si gettarono a terra, coprendosi le orecchie come avevano insegnato loro.
I B17 statunitensi, le “fortezze volanti” come venivano chiamati, sorvolarono Treviso e seminarono il caos con quintali e quintali di bombe, portando via 1600 anime e interi edifici. I sopravvissuti non riuscirono mai a dimenticare quel boato.
Sui motivi di quell’attacco è stata fatta ogni tipo di teoria: dall’ipotesi dell’obiettivo militare mancato all’idea di sventare un vertice dell’Asse in uno degli edifici vicini a Piazza Borsa: la verità che ha spinto gli Alleati a bombardare il centro di una città come Treviso, probabilmente, sarebbe esprimibile in affermazioni molto più schiette e ciniche.
Oggi nel 2024, dopo 80 anni, la città di Treviso si è riunita in piazza dei Signori per ricordare quel giorno terribile, ma anche lanciando un messaggio estremamente attuale all’Europa e al mondo, dove ancora molte famiglie, ogni giorno, vengono schiacciate come formiche.
Dopo la Santa Messa, celebrata da Monsignor Tomasi, le autorità hanno raggiunto Palazzo dei Trecento per deporre la corona d’alloro sotto alla targa commemorativa dedicata alle Vittime Civili di guerra.
Poco più tardi, in piazza, erano presenti moltissime autorità civili e militari, il sindaco Mario Conte, l’assessore regionale Federico Caner ed Elena Donazzan, il ministro Carlo Nordio, il prefetto di Treviso Angelo Sidoti, il questore Manuela De Bernardin, ma anche associazioni d’arma, associazioni di categoria, sindaci e rappresentanti di enti, oltre ad almeno seimila cittadini.
Dopo i solenni rintocchi delle campane dalla Torre Civica, tutti hanno assistito silenziosamente, con rispetto, a una cerimonia che ha ricordato le vittime di quell’attacco attraverso la musica e il silenzio: a prestare la sua voce è stato anche il tenore Francesco Grollo.
Gli alunni dell’Istituto Comprensivo Coletti hanno eseguito una serie di brani, tra i quali il più sentito – cantato a squarciagola da persone di ogni età – è stato l’Inno di Mameli. Poi è stato il turno delle letture, da parte di alcuni ragazzi di vari Istituti Comprensivi. Le testimonianze, come quella della signora Bertilla Casarin, di novant’anni, hanno descritto lo sgomento nel vedere una città cambiare nel giro di poche ore, da casa a inferno, da rifugio a maceria.
“Quel giorno era Venerdì Santo e io ero rimasta a casa da scuola – ha raccontato – la mia fortuna è stata questa. Più tardi, con mia madre, siamo passate davanti a scuola e ho notato che l’edificio non c’era più. Non ho perso nessun caro, ma ho perso degli amici e delle amiche che venivano a scuola con me”.
Il sindaco Mario Conte ha preso la parola per primo: “Ottant’anni fa a quest’ora qui regnava il silenzio, lo strazio, la polvere e la paura. Dovremmo sentirci fortunati nel sentire le voci e i canti dei nostri bambini. Li ho voluti qui perché sono la nostra speranza, perché mi pare evidente che noi adulti quantomeno non abbiamo ancora capito come si vive in pace.
Abbiamo la presunzione di insegnar loro cos’è la pace, ma invece dovremmo ispirarci ai loro insegnamenti, a comprendere la diplomazia. Se oggi avessimo qui un conta-vittime di guerra sarebbe in continuo movimento.
Mentre noi siamo qui a ricordare quanto è successo tanti anni fa in questo momento stanno piovendo bombe sulla testa dei civili. Stanno bombardando ospedali e scuole. Quindi qui, oggi, da Treviso, lanciamo un messaggio: che questa pazzia finisca e che torni la pace”.
Dopo il saluto dell’assessore regionale Federico Caner, che ha portato anche il saluto del presidente Zaia, ha preso la parola il ministro Carlo Nordio: “I miei genitori abitavano lì, vicino a Piazza Borsa – ha indicato -, nell’unico palazzo che era rimasto in piedi durante quel bombardamento.
Quando andavo alle scuole elementari, ci andavo tra le macerie. Quasi sempre le guerre si scatenano quando manca la libertà: raramente le democrazie liberali hanno scatenato una guerra, anche perché il loro popolo tende a non voler andare a morire. Ma è anche vero che le democrazie devono sapersi difendere e mai con un atteggiamento di sterile pacifismo e neutralità”.
La Pattuglia acrobatica delle Frecce tricolori sono passate esattamente all’ora stabilita, alle 13.13, sopra Piazza dei Signori, portando tutti i presenti a guardare il cielo, dove brillava il tricolore. Poco dopo, i jet hanno compiuto un secondo passaggio, accolti da un intenso applauso.
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