La mirabile statua di Antonio Canova raffigurante “La Pace”, candido marmo alto quasi due metri, per taluni rappresenta un simbolo di fratellanza pur nell’immensa tragedia della guerra tra Russia e Ucraina.
Commissionata allo scultore di Possagno dal principe Nicolaj Rumjancev, per esaltare il ruolo della sua famiglia nelle vicende diplomatiche russe, è un’allegoria della Pace a grandezza naturale con tre iscrizioni in francese, volte a commemorare i trattati siglati da membri eminenti dei Rumjancev. Canova la realizzò tra il 1811 e il 1815; fu completata dopo il disastro Waterloo e il definitivo abbandono di Bonaparte della scena europea. “La Pace” arrivò a San Pietroburgo nel novembre 1816, accolta da un pubblico entusiasta esaltato dalla sconfitta dell’ex imperatore francese.
Le collezioni Rumjancev, poi, furono cedute allo Stato dando origine alla Biblioteca nazionale e al primo Museo pubblico russo. “La Pace” finì per essere trascurata. Nel 1953 fu trasportata al Museo Nazionale Bogdan e Varvara Khanenko di Kiev e li è rimasta per decenni.
Solo due volte è stata portata fuori dai confini ucraini: la prima nel 2003 per l’esposizione canoviana di Bassano del Grappa, la seconda nel 2019 in occasione della grande mostra “Canova e l’Antico” a Napoli. Era esposta nel museo di Kiev fino a pochi giorni fa. Con lo scoppio dell’attacco russo, “La Pace” è stata impacchettata per essere protetta dalle bombe e nascosta insieme al resto della collezione del Khanenko. Questo stretto legame con l’attualità più “dolente” dell’Europa odierna la riporta al centro dell’attenzione della mostra in corso di allestimento al Museo Bailo di Treviso, “Canova, gloria trevigiana – Dalla bellezza classica all’annuncio romantico”, in programma dal 14 maggio al 25 settembre per il bicentenario della morte del maestro di Possagno (13 ottobre 1822).
A due mesi dall’apertura (e dalla inaugurazione del nuovo Grande Bailo), sono stati anticipati i contenuti dell’esposizione nell’incontro a cui hanno partecipato il sindaco di Treviso Mario Conte, l’assessore alla Cultura Lavinia Colonna Preti, il direttore dei Musei Civici Fabrizio Malachini e il curatore della mostra Nico Stringa.
Il percorso museale metterà in evidenza la “trevigianità” di Antonio Canova, attraverso vari elementi. E tra questi ci saranno opere custodite nei depositi del Bailo finora mai esposte al pubblico, che verranno finalmente valorizzate dopo un attento restauro da parte delle giovani specialiste della “Mauve” di Venezia. Sono molti i legami tra Treviso e Canova che verranno evidenziati. Poco dopo la scomparsa, avvenuta a Roma, la città onorò l’artista con un monumento in marmo di Luigi Zandomenneghi e con una medaglia celebrativa di Francesco Puttinati. Al contempo, l’Ateneo di Treviso gli dedicò una sonata composta dal socio maestro professor Rossini.
Anche per questo il fratello di Canova, Giovanni Battista Sartori, nel 1837 donò all’Ateneo cittadino (di cui Antonio fu socio onorario nel 1816) un volume monumentale, contenente le incisioni delle opere del maestro di “Amore e Psiche”. Un tomo di straordinario valore artistico, delle dimensioni di 90 per 73 centimetri nel formato chiuso, che contiene ben 86 illustrazioni di statue per mano di diversi incisori. Tra queste raffigurazioni c’è anche “La Pace” di Kiev, che non mancherà di attirare l’attenzione del pubblico. Il volume, completamente restaurato da Paola Santin, viene esposto per la prima volta in una mostra e riprodotto integralmente come allegato al catalogo.
Malachini ha ricordato che a definire Canova come “Gloria Trevigiana” concorre anche la mostra della “riscoperta” a Palazzo dei Trecento, allestita dopo un lungo periodo di indifferenza da parte dei critici, se non di oblìo, che Luigi Coletti volle dedicare allo scultore nel 1957, per celebrare il secondo centenario della sua nascita. Un evento che riaccese i riflettori sul valore dell’artista, che il professor Nico Stringa oggi descrive quale capostipite della storia dell’arte contemporanea, pur se guardava all’antichità.
“Non c’è niente di semplice in Canova e questa è una mostra complicata. Sicuramente la più originale. Alla fine diremo qualcosa di nuovo su Canova” ha sottolineato il curatore. La mostra, oltre a mettere al centro il rapporto con Treviso, porrà in evidenza anche il ruolo del maestro come ponte tra culture.
“E’ stato l’ultimo grande artista del Settecento e della Serenissima e anche il primo grande artista moderno. Nella sua arte neoclassica si vedono i lumi del romanticismo. Quindi nella mostra copriamo il periodo fino al 1850, esponendo opere del Romanticismo storico sempre di proprietà del Museo Civico” ha ricordato Malachini.
Tra i reperti museali mai esposti finora, come rilevato dall’assessore Colonna Preti, “ci sono i calchi della mano destra e la maschera funeraria del maestro, autentiche reliquie dell’artista entrate nelle collezioni civiche già in epoca ottocentesca“. Il gesso del volto suscita emozione “per l’efficacia con cui mostra la decadenza fisica provocata dalla malattia e dalla vecchiaia nell’artista della bellezza ideale” scriveva uno dei primi biografi di Canova, Pier Alessandro Paravia.
Dopo la morte dell’artista, avvenuta a Venezia, si scatenò la caccia alle sue reliquie quasi fosse un santo. Il giorno dopo la scomparsa, narra il Paravia, “si fece la sezione del cadavere alla presenza dei soprintendenti Aglietti e Zannini, a cui si aggiunsero Pietro Pezzi e Tommaso Rima, chirurgo primario di questo nostro spedale”.
Il biografo pubblicò l’incisione della “maschera cavatagli dopo la morte”, che si potrà vedere al Bailo, dal grande valore documentale relativamente sia all’aspetto dello scultore che al “macabro” commercio feticista, sostenuto dal mito canoviano, che si fece dei suoi resti, gestito da Leopoldo Cicognara in accordo con l’erede Sartori.
Il cuore fu portato ai Frari di Venezia (da pochi anni è stato traslato nel Tempio di Possagno); la mano destra, simbolo della creatività, toccò in dono all’Accademia delle Belle Arti, il calco della mano sinistra rimase a Possagno.
Accantro ai rari calchi di Treviso, nella mostra si vedranno le fattezze dell’artista in età adulta con due ritratti ad olio, di cui uno a firma della pittrice svizzera Angelica Kauffman, un busto marmoreo di Canova scolpito da Antonio D’Este (riscoperto anche questo nei depositi museali) e un calco delle “Tre Grazie”, presente già nella mostra del 1957, tratto da un altro bozzetto che si trova a Lione.
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