Hikikomori, casi in crescita nella Marca. La preside: “Nel nostro istituto giovani che vivono isolati”

Hikikomori, casi in crescita nella Marca

Con la parola giapponese hikikomori si intendono quelle persone – statisticamente soprattutto ragazzi di età compresa tra i 14 e i 30 anni – che per vari motivi decidono di ritirarsi dalla vita sociale molto spesso per lunghi periodi, a volte anche per anni. 

Ogni ponte con il mondo esterno viene tagliato e questi ragazzi evitano qualsiasi tipo di contatto diretto con altre persone, spesso anche con i propri famigliari, rimanendo chiusi nelle loro stanze utilizzando il web come unico modo per comunicare. 

La dirigente scolastica Manuela Pol

Soprattutto dopo il Covid 19 i giovani che esprimono questo disagio sono in continua crescita e diversi casi sono stati segnalati anche nella Marca. Prova ne è – come confermato dal dirigente scolastico dell’istituto Max Planck di Lancenigo Manuela Pol – che sono più di cinque i casi accertati tra gli studenti dell’istituto tecnico alle porte di Treviso, ma casi simili si sono verificati anche in altre scuole della provincia. 

“Questi casi sono aumentati rispetto agli scorsi anni” conferma Pol. Uno strumento utile per combattere questo fenomeno potrebbe essere senza dubbio la scuola che però non può risolvere da sola il problema. 

“Possiamo essere solo un tramite tra la famiglia e le strutture territoriali della prevenzione e della cura per cercare di risolvere questo problema” precisa il dirigente scolastico. 

Nel caso specifico dell’istituto di Lancenigo, gli sforzi per cercare di risolvere questo problema sono enormi nonostante i ragazzi rifiutino qualsiasi contatto anche con insegnanti e compagni di classe.

Per cercare di combattere le situazioni accertate di ritiro sociale, il Planck ha mantenuta attiva anche la didattica a distanza come nel periodo pandemico. In questo modo questi ragazzi possono partecipare alle lezioni dalla loro stanza e la speranza è quella di far tornare loro la voglia di ritornare tra i banchi di scuola.

“Se la scuola può essere un aiuto noi ci siamo – prosegue il dirigente scolastico –. Alcuni docenti mi raccontano che fanno partire il link per il collegamento con la lezione alla mattina e, nonostante non si veda nessuno, colgono qualche segnale che dietro c’è la presenza di qualcuno. Questo scalda il cuore“.

La prova che la scuola possa essere un’arma valida per combattere questo fenomeno è la storia di uno studente dell’istituto che lo scorso anno è ritornato in classe – dopo un anno e mezzo di ritiro sociale – nella seconda parte della quinta ed è riuscito a concludere il percorso di studi.

(Foto: Qdpnews.it).
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