“Ragazzi bisogna partire dalla matematica” diceva agli studenti il professor Giuliano Romano. Messo in chiaro questo primo imprescindibile punto l’astronomo trevigiano riusciva ad instillare nei propri allievi la passione per una materia tanto ostica quanto affascinante con l’abilità che distingue un divulgatore, da un grande divulgatore scientifico.
In occasione del centenario della nascita di una delle figure più carismatiche dell’astronomia italiana, il Collegio Pio X ha ospitato un convegno per ricostruire il profilo umano e l’eredità scientifica lasciata dal fondatore, negli anni Settanta, della Scuola aperta di Astronomia all’interno del Collegio trevigiano dove contribuì alla realizzazione del planetario (ancora in funzione) in questi giorni accessibile al pubblico.
Il convegno, introdotto dal rettore mons. Lucio Bonomo e dalla coordinatrice didattica Laura Catella, ha visto il coinvolgimento di amici ed ex allievi del professor Romano fra cui Francesco Cianci, professore di Matematica e Fisica, preside dei Licei e dell’ITE del Collegio Pio, il divulgatore scientifico Fabrizio Marchi, l’astrofilo e scrittore Enio Vanzin e il professor Gabriele Umbriaco, ricercatore del dipartimento di Fisica e Astronomia dell’Università di Bologna.
“Ho conosciuto il prof Romano da bambino – ha raccontato Marchi – Ero affascinato dalle stelle e così a sei anni gli scrissi una letterina chiedendogli consigli per costruire un telescopio. Lui non solo mi rispose ma mi invitò anche a casa sua: sua moglie Lella per l’occasione mi fece i biscotti. Inizialmente ero intimorito alla presenza di uno studioso del suo calibro, ma bastò poco tempo per iniziare a sentirmi a mio agio. Quel giorno mi diede la sua prima lezione di astronomia, mi spiegò che per l’osservazione delle stelle bisognava puntare sull’apertura più che sulle capacità d’ingrandimento del telescopio. Con un tubo di carta e una lente mi guidò nella costruzione di un piccolo prototipo e poi mi consegnò un atlantino delle costellazioni: era una persona di grande umanità che ha segnato profondamente il mio percorso professionale e personale”.
Nato a Treviso nel 1923, Giuliano Romano si laureò in Matematica all’Università di Padova, dove più tardi assunse il ruolo di professore di Cosmologia e Storia dell’Astronomia. Per 33 anni, dal 1949 al 1982, insegnò Fisica e Matematica al Collegio Pio X. A Treviso, a partire dal 1949, organizzò i convegni degli Astrofili veneti e fondò l’associazione Astrofili trevigiani che oggi custodisce la memoria, i valori e l’eredità scientifica del fondatore. Romano non fu solo il primo italiano a scoprire una supernova extragalattica, nel corso dei suoi studi individuò oltre trecento stelle variabili e scrisse numerosi testi scientifici e libri sia nel campo dell’astronomia che in quello dell’archeo-astronomia.
Dal convegno è emerso lo spessore scientifico e umano del prof. Romano, uno studioso delle leggi scientifiche che nelle sue osservazioni rigorose lasciava sempre spazio all’elemento del dubbio: “Non dare per scontato che il cervello umano sia sviluppato per arrivare a rispondere a domande ultime sull’universo”, diceva sovente ai propri amici e collaboratori più stretti.
Enio Vanzin, coautore di molti libri del prof. Romano, nonché esperto costruttore di meridiane, ne ha ripercorso la vita, intrecciandola a propri ricordi personali, “fin dal lontano ’79, quando lo conobbi ad una conferenza sulla relatività”.
“Da piccolo lesse ‘Le terre del cielo’ di Flammarion e ne rimase profondamente affascinato – ha raccontato Vanzin – Da allora iniziò a rivolgere il proprio sguardo agli astri aiutandosi inizialmente con un piccolo binocolo da teatro prestatogli da padre. C’è chi dice che si appostasse in piazza dei Signori spiegando ai passanti le bellezze del cielo”.
Vanzin nel suo racconto si è soffermato sulle tappe fondamentali del percorso accademico e professionale del prof. Romano segnato dalla presenza del prof. Leonida Martin che ne apprezzò fin da subito non solo la profonda curiosità ma anche la voglia di dare un contributo concreto alla ricerca scientifica in ambito astronomico.
Il convegno è stato arricchito da un particolare intermezzo musicale a cura del maestro trevigiano Andrea Vettoretti tratto dai brani del suo album “Quantum one”: un’esplorazione dell’universo attraverso il “suono” anziché attraverso la tradizionale osservazione ottica. I “segnali sonori” che precedono ogni composizione dell’album cercano di ricreare un’immagine dell’universo fruibile anche per le persone cieche.
(Foto: Collegio Pio X – Qdpnews.it).
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