Ritrovano i biglietti del campo di concentramento indiano appartenuti allo zio carabiniere (1941-1944)

Dopo sei anni di ricerche, ieri mercoledì i biglietti d’ingresso e d’uscita di Longino Celebrin dal campo di concentramento in India sono stati consegnati al nipote Luciano. La consegna è avvenuta negli ambienti del Comando provinciale dei Carabinieri di Treviso. 

“Questi biglietti erano stati smarriti durante il viaggio di ritorno dall’India all’Inghilterra – spiega Luciano -. Vent’anni fa sono comparsi quasi per miracolo in un mercatino di Verona e acquistati. Grazie alle ricerche dei Carabinieri di Silea e dell’associazione Collezione Antoniazzi di Conegliano sono risaliti a noi e mi hanno donato una copia”.

Gli originali sono infatti da oggi ufficialmente custoditi all’interno del Museo dei Carabinieri reali di Conegliano nella vetrina dedicata ai deportati, assieme ai cimeli e alle storie di altri tre carabinieri. 

I fratelli Celebrin e il comandante provinciale dei Carabinieri Massimo Ribaudo

“Di mio zio ho bellissimi ricordi – conclude Luciano –: era sempre assieme a mio padre e condividevano tutto. Era un uomo magnifico ma la sua storia l’ho conosciuta in un secondo momento. Per me e per i miei fratelli è un immenso piacere ricevere questi documenti che rimarranno nelle nostre case”.

“Per noi è stato un piacere ospitarvi – commenta il comandante provinciale dei Carabinieri, Massimo Ribaudo –: noi ricordiamo tutti i Carabinieri e tutti i nostri eroi. La storia e le tradizioni costituiscono un punto indissolubile e ci fa piacere aver collaborato alla ricostruzione di questa storia”.

I biglietti d’ingresso e uscita dal campo di concentramento

Longino Celebrin, carabiniere deportato in India

Di seguito la vita del carabiniere Longino, minuziosamente ricostruita grazie alla collaborazione tra la famiglia Celebrin, la collezione Antoniazzi e i Carabinieri della stazione di Silea.

Longino Celebrin classe 1919 era uno dei tanti giovani delle nostre terre, figlio di contadini e con una famiglia numerosa, che nel 1937, appena diciottenne, scelse di entrare a far parte dell’Arma dei Carabinieri.

Il 20 gennaio 1939 partì dal proprio paese in bicicletta alla volta della stazione di Treviso dove prese il treno per raggiungere il Distretto Militare di Padova. Superate le varie visite e giudicato idoneo, quella stessa sera fu inviato in treno a Roma per raggiungere la Scuola Allievi. A Roma fu accolto da una pattuglia di Carabinieri che inquadrati tutti gli aspirati in arrivo li condussero a piedi presso la Scuola. Immaginate cosa poteva essere Roma per un giovane dell’epoca che giungeva dalla provincia…


Dopo un mese, il giuramento e dopo tre mesi usufruì dell’unica licenza (di fine corso) al termine della quale si vide assegnato al Battaglione di Roma, nei pressi del Gianicolo, per l’istituzione di varie Sezioni addette alle Grandi Unità dell’Esercito venendo aggregato alla Divisione “21 Aprile” composta da camicie nere. Erano i giorni in cui vi era gran fermento per un possibile impiego bellico in una Polonia appena invasa dai tedeschi.

Invece che in Europa, il nostro Longino partì per Napoli per il successivo imbarco (1° ottobre 1939) per la Libia. Sbarcato a Derna il 5 ottobre proseguì, via terra, per Bardia, dove permase un po’ di tempo per l’acclimatamento. A seguito di ordini superiori la Sezione Mobilitata di Celebrin fu incaricata di procedere allo scioglimento della “21 Aprile”, non senza incontrare difficoltà ed ostacoli per i comportamenti insofferenti delle camicie nere. I militi furono riassegnati ad altre Divisioni di camicie nere per il completamento dei quadri ed anche il Carabiniere Celebrin si vide assegnato alla Divisione CC.NN. “23 Marzo” ed inviato alla Ridotta Capuzzo a sud di Bardia con compiti di portaordini e pattugliamento, trovandosi quel reparto sulla linea di attacco. Per tali attività aveva in dotazione una moto Guzzi 500 targata Udine, oggetto di requisizione in patria, come del resto altri veicoli.

Al nostro giovane trevigiano questa guerra appariva alquanto strana: i reparti venivano fatti avanzare senza mai incontrare il nemico, oppure gli inglesi effettuavano qualche incursione aerea senza che i nostri potessero approntare tempestivamente delle difese antiaeree poiché si allontanavano rapidamente, inoltre, in quel mare di sabbia spesso bisognava trainare a mano i cannoni perché i trattori stradali erano insufficienti.

Ai più apparve che tutto ciò era una guerra inutile anche perché il nostro Esercito appariva male organizzato. I magazzini per l’approvvigionamento dei viveri si trovavano a circa 15 chilometri di distanza dal reparto ed a volte di ritorno era facile perdersi perché il ghibli, il vento del deserto, cancellava i percorsi e modificava le dune cosicché i camion si insabbiavano e gli inglesi spesso infiltrati lungo la linea del fronte se ne accorgevano e accerchiavano i convogli, a cui sottraevano armi viveri e materiali ma senza fare prigionieri, anzi, aiutavano i militari italiani ad uscire dall’insabbiamento, scortandoli poi fino ai limiti dell’accampamento e allontanandosi poi rapidamente.

Viceversa, qualche volta i militari italiani si imbattevano in soldati inglesi nascosti in grandi buche nel deserto ma nessuno metteva mano alle armi, altre volte erano gli italiani che riuscivano a sottrarre delle camionette agli inglesi ma poi non c’erano autisti per guidarle. 

Altro problema erano le guide libiche utilizzate per muoversi nel deserto, nonostante fossero lautamente pagate dallo Stato italiano, facevano il doppiogioco con gli inglesi che raggiungevano quando andavano in avanscoperta da sole ritornando poi dai nostri con informazioni ininfluenti o volutamente artefatte. Anche i servizi di scorta a convogli di munizioni o carburanti risultavano non privi di problemi, vennero accertati rilevanti ammanchi di munizioni e le cisterne spesso trasportavano benzina “annacquata”.

Nonostante ciò, la guerra continuava e malgrado questo stato di cose, gli alti Comandi militari contavano di arrivare in Egitto e da lì ricongiungersi con le truppe del Duca d’Aosta in Etiopia. Avviata l’offensiva per occupare l’Egitto le truppe italiane si consolidarono a Sidi el Barrani, fortificandosi.

La controffensiva inglese del 9 dicembre 1940 (Operazione Compass) travolse completamente lo schieramento italiano, le truppe britanniche molto inferiori numericamente ma totalmente motorizzate aggirarono e circondarono le truppe italiane ottenendo un successo clamoroso.

Il Carabiniere Celebrin annotò che furono occorsi ben 40 giorni per giungere dove erano, ma ci vollero solo due giorni per ritirarsi fino a Bardia.

Bardia fu assediata dalle truppe inglesi. Nonostante la scarsità di viveri e di acqua ai prigionieri inglesi, in custodia ai Carabinieri, non fu mai fatto mancare un minimo sostentamento anche a discapito degli stessi Carabinieri. Questo fatto fu di loro giovamento poiché, una volta arresisi agli inglesi, furono quegli stessi prigionieri ad intercedere presso i loro commilitoni affinché ai Carabinieri fosse riservato un trattamento benevolo. 

L’elmetto in dotazione ai Carabinieri

Da qui in poi inizia la prigionia del Carabiniere Celebrin. Dopo la sosta in vari centri di raccolta, i prigionieri italiani furono imbarcati con destinazione Bombay (India). Giunti a destinazione, furono ripuliti e rivestiti con abiti adatti al particolare clima e fatti proseguire per Bangalore.

Dopo alcuni mesi di inattività i prigionieri furono impiegati per lavori di manutenzione stradale e ai Carabinieri era devoluto il compito di regolare il traffico stradale e vigilare sugli altri prigionieri. Nonostante il lavoro venisse svolto tutti assieme il pernottamento dei militari del Regio Esercito era separato da quello delle camicie nere, segno evidente che anche gli inglesi avevano capito che non correva buon sangue tra le due componenti. 

Dopo l’11 settembre 1943 con l’adesione da parte del Carabiniere Celebrin al Regno del Sud cobelligerante, le cose momentaneamente non mutarono. Finalmente verso la fine di febbraio 1944, circa 1.000 prigionieri italiani furono avviati a Bombay per salpare alla volta dell’Italia. Superato il canale di Suez il convoglio, che comunque aveva sopportato degli attacchi aerei tedeschi senza subire danni, anziché andare verso la Sicilia proseguì verso Gibilterra che attraversò, sbarcando gli italiani a Liverpool da dove in treno raggiunsero i campi di lavoro di Sheffield.

La prima cosa che Longino notò fu che c’erano in circolazione solo donne ed anziani perché gli uomini erano tutti impiegati per lo sbarco in Normandia.

I lavori che dovevano essere svolti erano vari: lavorare nei campi, nelle fabbriche ed anche sulle linee ferroviarie, il tutto finalizzato allo scopo bellico. Spesso accadeva di lavorare con altri prigionieri italiani, specialmente camicie nere che non avevano aderito al patto di cobelligeranza, questi erano vigilati a vista da sentinelle armate e vestivano ancora le vecchie uniformi, mentre loro erano liberi e vestivano uniformi adeguate con l’indicazione “Military Italy”. Questo regime lavorativo era regolato ad orario ed il sabato e domenica erano liberi per cui accordandosi con il padrone e svolgendo lavori anche in quei giorni era possibile raggranellare qualche soldo con cui andare al cinema, a ballare oppure conoscere qualche ragazza, l’importante era rientrare al campo in orario e non portare donne all’interno.

Finalmente il 31 gennaio 1946 arrivò il tanto agognato rimpatrio. A tutti furono richiesti i documenti di cui erano in possesso che, chiusi in buste nominative, sarebbero stati riconsegnati appena sbarcati a Napoli. Qui giunti, però dei documenti non c’era traccia per cui fu necessario fornire alle nostre autorità tutti gli elementi necessari, il che comportò un’ulteriore sosta di otto giorni. Terminati gli accertamenti, il Carabiniere Celebrin prese il treno che lo portò a Mestre, dove pernottò presso dei parenti, ripartendo l’indomani mattina alla volta di Treviso e da qui, poi, finalmente a casa.

(Foto: Qdpnews.it ©️ riproduzione riservata).
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