Storie di vita e di speranza nei campi profughi del mondo alla mostra “Out of Place” di Imago Mundi

Laila Ajjawi è una street-artist palestinese

“Out of place. Arte e storie dai campi rifugiati nel mondo” è la nuova mostra della Fondazione Imago Mundi alle Gallerie delle Prigioni di Treviso.

L’ingresso della mostra

L’esposizione in programma fino a domenica 30 giugno, attraverso lo sguardo di 162 artisti apre uno squarcio inedito sulle vicende umane dei rifugiati in un viaggio nei cinque continenti supportato da fotografie, video, installazioni e tele nel formato distintivo di Imago Mundi Collection (10×12) commissionate appositamente per questo progetto curato da Claudio Scorretti, Irina Ungureanu e Aman Mojadidi.

L’arte, nei suoi diversi linguaggi, diventa uno strumento di narrazione, di espressione ma anche di ricerca di senso in una vita perennemente “fuori posto” come quella dei rifugiati degli undici campi fra i più grandi del mondo dove vivono, o hanno vissuto gli artisti protagonisti della mostra.

Afghanistan, Myanmar, Vietnam, Palestina, Siria, Etiopia, Somalia, Costa d’Avorio fra i paesi d’origine degli artisti che tra le sale della Galleria delle Prigioni vedono annullarsi le diversità etniche, religiose e culturali.

Le opere in piccolo formato 10×12

Ciò che emerge nel corso della visita è l’unicità delle loro storie individuali accomunate tuttavia da un medesimo destino che trova riscatto nell’arte, sinonimo di speranza. Comuni sono le paure e le ferite dei rifugiati, ma anche il loro attaccamento alla vita che resiste a violenze, soprusi e povertà.

Il percorso espositivo composto da 174 opere è suddiviso per aree geografiche dove ogni ambiente è dedicato ad un diverso campo profughi. Si parte da quello di Kutupalong in Bangladesh, considerato il più popoloso al mondo, che ospita i Rohingya, una delle maggiori minoranze senza patria. Si passa poi al Kenya, nei campi di Kakuma e Dadaab dove convivono la comunità somala, sudanese ed etiope, per poi sconfinare in Uganda.

E ancora piccole tele ed installazioni testimoniando le storie di artisti curdi e yazidi passati per i campi temporanei in Iraq durante l’assedio dell’ISIS, ma anche quelle di campi che non ci sono più. Ne è un esempio quello di Moria, in Grecia, distrutto da un incendio nel 2020.

Il campo di Za’atari popolato da Siriani che sfuggono al conflitto, ma anche i cinque campi in Giordania dove vivono profughi palestinesi sono forse i più rappresentativi del dramma dei rifugiati in Medio Oriente.  

Non solo opere di piccolo formato, “Out of Place” si arricchisce anche di grandi installazioni come quella dell’artista curdo Rushdi Anwar i cui tappetti “frammentati” rimandano alla precarietà, alla mancanza di una casa e alla lontananza dalle proprie radici.

I tappeti dell’artista curdo Rushdi Anwar

Sono state realizzate direttamente in loco le tele di Laila Ajjawi street artist palestinese che per la collezione Imago Mundi ha dipinto due opere fra cui “Un fiore di vita” (210×140) raffigurante una donna che tiene tra le mani una giara di olio d’oliva, mentre sullo sfondo cresce un albero di arancio.

le tele di Laila Ajjawi

L’opera intende rappresentare come tante donne palestinesi aiutino le loro famiglie, svolgendo un lavoro artigianale o piccole mansioni che assicurino un guadagno, per superare le difficoltà economiche.

un visitatore

L’abito della donna si allarga a formare una casa che riproduce i motivi architettonici del campo: un altro simbolo del contributo femminile alla crescita e allo sviluppo delle loro comunità.

I ritratti di migranti nella sezione “Labirinto”

L’esposizione culmina con la sezione “Labirinto” dedicata agli scatti di Mohamed Keita, fotografo ivoriano arrivato in Italia a 17 anni dopo un viaggio di 8000km.

Mohamed Keita e Luca Attanasio

I suoi ritratti di grandi dimensioni pendono dal soffitto dando vita ad un “labirinto” di storie e immagini di migranti raccolte e narrate con il supporto del giornalista e scrittore Luca Attanasio che da decenni lavora sul tema delle migrazioni.

Berthe

15 scatti fanno luce sulle vicende drammatiche ma anche dense di speranza di altrettanti uomini e donne, fra cui Berthe, camerunense affetta da problemi motori che da sola ha attraversato i deserti del Niger e poi del Nordafrica vedendosela con trafficanti e venditori di schiavi per poi finire in un lager in Libia. “Lì ho visto la morte. Tanti cercavano farmaci per suicidarsi. Aspettavo solo di morire” – ha raccontato a Luca Attanarsio – Nel 2017 l’Onu libera il luogo dove è detenuta Berthe e apre un fascicolo su di lei. Nel 2021, il lieto fine con il suo arrivo in Italia tramite un corridoio umanitario della Caritas.

La mostra è a ingresso libero.

(Fonte foto: Qdpnews.it ©️ riproduzione riservata).
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