Vent’anni di odio e paura, la testimonianza di una pericolosa situazione di vicinato

A chiunque può capitare di avere un vicino di casa detestabile. In genere tutto comincia con un’incomprensione o uno scambio di osservazioni apparentemente pacato, con un lamento sul vialetto pieno di foglie o sull’auto parcheggiata male. Poi – possono volerci degli anni – si prosegue con parolacce pronunciate sottovoce a ogni incontro e piccoli dispetti reciproci. Qualche volta però lo scontro diventa qualcosa di più serio, arrivando a escandescenze di violenza verbale e persino fisica, passando per le minacce, gli atti vandalici e, naturalmente, i tribunali. 

L’episodio che racconteremo è successo nella Marca Trevigiana, dove un’intera borgata vive con ansia e con preoccupazione giornaliera una situazione di tensione che “ha raggiunto il limite” parecchie volte. A raccontare di quest’episodio è uno dei residenti, che ha voluto contattare la nostra redazione per lasciare la propria testimonianza: a suo dire non descriverebbe il suo esclusivo punto di vista ma anche quello di un’altra decina di vicini che hanno condiviso un ventennio di paura e di battaglie legali. Una questione non ancora conclusa, che fa ancora loro tanta paura.

“Questa è una comunità dove andiamo tutti d’accordo. Come spesso accade si sparla un po’ l’uno dell’altro, ma a parte questo ci siamo sempre aiutati – racconta la persona residente. – Poi, una ventina di anni fa, le cose cambiarono radicalmente”.

Un uomo, residente in questa borgata, cominciò a mostrarsi intollerante a qualsiasi cosa. Iniziò a “espandere” la propria proprietà, cercando di usucapire prima la strada, poi il cortile e altre proprietà vicine. Lasciava l’auto in mezzo alla strada, per far capire che era sua e basta. Liberava i suoi cani nel quartiere, lasciando che questi divorassero tutti gli altri animali, gatti e galline nei dintorni. Dalla sua proprietà, si presume, dilagò nel quartiere un’invasione di ratti. All’inizio, noi vicini accogliemmo le sue richieste con tolleranza, poi iniziammo a ignorarlo: non volevamo problemi. Per lui quel silenzio fu una sorta di morte sociale. Come un cane, che finché il gatto sta fermo non si muove ma appena scappa, invece, lo rincorre.

Dopo un periodo di sopportazione, parlammo tra di noi e iniziammo a reagire con moderazione e ragionevolezza. Lui iniziò invece con insulti molto offensivi, sbraitati anche solo per aver fatto due passi verso la sua proprietà. Segnalammo questi abusi all’amministrazione e ai servizi sociali. Anche le forze dell’ordine, che con noi furono sempre competenti e gentilissime, ma che lui chiamava sempre per primo, fingendosi vittima, capirono in fretta la situazione. A quel punto i rapporti si inasprirono ulteriormente. 

Il vicino iniziò ad avere comportamenti vendicativi e dispettosi, a portare avanti ritorsioni anche gravi nei confronti di chi lo contestava. La mia auto ne è l’esempio: non a caso è completamente rigata. Tagliò di nascosto piante e fiori, fece sparire cassonetti, urlò ancora offese contro di noi e lasciò ancora i cani liberi nel quartiere. Le persone attorno a lui cominciarono a temerlo sul serio quando iniziò a fare minacce, ma fu lui per primo a rivolgersi agli avvocati per far diffida contro uno di noi.

Poi un giorno, per una sciocchezza, il vicino minacciò di uccidermi. Io andai a querelarlo e mi venne suggerito di denunciarlo per stalking: si tratta un reato molto “ampio” nella sua definizione perché descrive tutte quelle situazioni di tensione che portano a modificare le tue abitudini di vita a causa di un’altra persona. 

Confrontandoci tra di noi, una dozzina, il dossier che presentammo agli avvocati era un tomo di molte pagine. Dopo il deposito della querela si aggiunsero diverse integrazioni: così il Pm chiese al Gip di eseguire un provvedimento restrittivo nei confronti di quest’uomo. Noi avevamo chiesto il divieto di avvicinamento a cento metri, ma visti gli aggravanti, gliene assegnarono molti di più.

Dopo che gli notificarono la restrizione in caserma, tornò a casa furibondo: questo significa che, abitando vicino ai querelanti, avrebbe potuto stare soltanto a casa sua, senza tuttavia avvicinarsi al resto della contrada. Dopo un mese di silenzio, mi colse di sorpresa e mi aggredì fisicamente. Mi trascinò sull’asfalto, mandandomi al Pronto soccorso e poi in prognosi per oltre venti giorni. 

Così, lo misero ai domiciliari, che lui poi violò: venne trasferito in carcere (per quella che si chiama carcerazione preventiva), ma il suo legale presentò istanza di scarcerazione per riportarlo alla sua famiglia. Noi ci opponemmo, perché “la sua famiglia” abita proprio vicino a uno dei querelanti. 

Recentemente abbiamo dovuto concordare un patteggiamento: il nostro vicino è stato condannato a due anni, che in Italia significa praticamente non andare in carcere. Alcuni di noi si sono costituiti parte civile, in modo da ottenere dei risarcimenti economici.  

Ora però abbiamo paura: manca poco al termine dei provvedimenti restrittivi e al suo ritorno temiamo che possa accadere qualcosa. Se si azzardasse a fare qualsiasi cosa, si giocherebbe subito la condizionale, ma è un uomo pieno di rancore nei confronti dei suoi vicini. Temiamo che non abbia nulla da perdere e che si vendichi su di noi. Guarda le mie cicatrici, non voglio fare da agnello sacrificale”. 

(Foto: Qdpnews.it ©️ riproduzione riservata).
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