Storia di una filanda: la famiglia Piva, industriali e mecenati

A sinistra: una foto della Ditta Sigismondo Piva, caldaie, 1925 – a destra: Celestino II “Titino” (Foto: FAST – Terra e Genio)

L’albero genealogico dei Piva di Valdobbiadene conta ben quattro Celestino, tutti impegnati, in momenti diversi, nell’azienda di famiglia.

Il primo è il fratello di Sigismondo, il quale morirà nel 1886 lasciando quattro figli, tra i quali Pietro, che continuerà a seguire l’attività industriale a Valdobbiadene e Celestino, il commendatore, che preferirà invece cercare fortuna negli Stati Uniti, stabilendosi nel distretto di Brooklyn (New York) e avviando attività industriali (ben quattro) legate al settore tessile e alla lavorazione della seta.

A New York Celestino lascia un ricordo indelebile di sé sostenendo un istituto per la cura degli infermi e contribuendo alle spese per l’ampliamento dell’ospedale italiano.

La generosità è la sua cifra: nel 1898 da Oltreoceano invia all’allora sindaco di Valdobbiadene, e parente, Ferdinando Piva, una sostanziosa somma per la costruzione di una nuova scuola mista, maschile e femminile, che sarà arredata “con speciali forniture da fabbricanti americani”.

L’edificio, oggi sede della biblioteca comunale, venne inaugurato il 1 ottobre 1900.

Il secondo Celestino della stirpe Piva lega inoltre il suo nome alla realizzazione di numerose opere pubbliche a Valdobbiadene, fra cui gli acquedotti delle frazioni di Colderove, Funer, Ron, Ponteggio e San Vito, che finanzierà con un’altra consistente donazione, facendole pervenire al sindaco Giacomo Cambruzzi.

Presiederà per oltre tre decenni la “Cassa di Risparmio e Prestiti della Società Operaia di Mutuo Soccorso”, la futura “Banca Piva”.

A lui è anche intitolata la strada che collega l’attuale piazza Marconi a Villa dei Cedri. Morirà poi nel 1937.

È il nipote Celestino, il terzo, per amici e famigliari “Titino”, figlio di Pietro, classe 1894, a prendere le redini dell’azienda di via Erizzo.

È un imprenditore capace e illuminato, con un’inedita carica di “humanitas”. Con lui il calzificio Piva riesce a superare i contraccolpi del tragico crollo di Wall Street del 1929 grazie all’attivazione di un’intelligente politica aziendale, che lo porterà a investire in innovazione tecnologica e a puntare sulla diversificazione. Avvia la produzione di calze con il marchio “SISI”.

Nel 1943 per la prima volta in fabbrica viene distribuita quella che, diversi anni più tardi, sarebbe diventata la “tredicesima”. È Celestino Piva in persona a consegnare a ciascun dipendente una “busta con un albero di Natale stampato in un angolo e contenente una cifra pressappoco uguale alla paga del mese”.

Attento alle esigenze dei lavoratori e delle lavoratrici, negli anni della Seconda Guerra Mondiale “Titino” si impegna ad assumere fino a 1500 fra donne, padri di famiglia e mutilati della Grande guerra, consapevole che si tratta di persone che hanno nella “Piva” l’unica fonte di sostentamento.

La fabbrica, nonostante le bombe, resta in attività. Ogni giorno la moglie di Mario Gerlin, direttore generale dello stabilimento, esce dalla mensa per recarsi in piazza e distribuire ai poveri un piatto di minestra con una fetta di pane.

Venendo meno il sale, Celestino suggerisce di rigenerare quello utilizzato per scopi industriali, serviva per fissare il colore delle calze, che una volta trattato può essere elargito alle famiglie che ne fanno richiesta.

Non si spreca nulla, “con gli scarti della cucina viene allevato un maiale che sarà poi ucciso e quanto prodotto distribuito a chi usufruisce della mensa”.

Nell’immediato dopoguerra Celestino ricostruisce gli edifici danneggiati dall’azione bellica e installa macchinari moderni, che miglioreranno ancora di più la qualità del prodotto finito.

Come l’omonimo “zio d’America“, “Titino” dimostrerà la sua generosità dando i fondi necessari per la costruzione della “Casa di Ricovero per anziani” intitolata a Giuseppe Garibaldi. Muore a Milano nel 1947.

Il quarto e ultimo Celestino dei Piva, nipote dell’omonimo zio, fratello di Pietro, eredita l’azienda a soli 19 anni. Cederà le azioni dell’impresa di famiglia al cugino Carlo Viansson, figlio di Maria, sorella di Celestino (III).

Fra diverse vicende la “Piva” chiuderà i battenti nel 1989, dopo 110 anni di attività, fondendosi con la Visconti di Modrone.

(Foto: Terra e Genio – FAST – Foto Archivio Storico Trevigiano)
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