Attività sportiva e disabilità (dal recupero dell’autonomia al sogno paralimpico) (1^ parte)

In tanti si ricorderanno le emozioni suscitate dal sorriso di Bebe Vio e dalle lacrime di gioia di Alex Zanardi sul podio delle ultime Paralimpiadi di Rio de Janeiro. Probabilmente le gesta dei nostri portacolori, oltre ad un’ammirazione smisurata, hanno stimolato l’interesse di molti riguardo gli atleti diversamente abili e lo sport paralimpico.

Questo articolo, diviso in due parti, vuole da un lato sottolineare l’importanza dell’attività sportiva nel garantire al soggetto diversamente abile una buona qualità della vita, dall’altro si pone l’obiettivo di fare chiarezza riguardo le categorie paralimpiche che vengono individuate da sigle strane, ai più sconosciute.

Innanzitutto è bene ricordare che gli atleti paralimpici sono principalmente atleti affetti da disabilità motoria (soggetti amputati, paraplegici, ecc.) o sensoriale (soggetti affetti da cecità o sordità più o meno grave); gli atleti affetti da disabilità intellettivo-relazionale rientrano nella realtà degli Special Olympics, un programma internazionale di allenamento sportivo e competizioni atletiche che ogni anno organizza, in alternanza, Giochi Mondiali (invernali o estivi) e Giochi Europei.

In realtà, nelle ultime due edizioni dei giochi olimpici (Londra e Rio de Janeiro) sono aumentati gli eventi in cui troviamo atleti con disabilità intellettiva anche se la loro presenza è regolamentata da procedure di qualificazione molto complesse.

Ma, in sostanza, che differenza c’è tra Giochi Paralimpici e Special Olympics?
I primi comprendono competizioni d’elite in cui gli atleti, per potervi partecipare, devono superare prove di qualificazione. I secondi utilizzano i punteggi di qualificazione non per escludere gli atleti, ma per dividerli in gruppi con abilità simile al fine di favorire una concorrenza leale.

L’attività sportiva come elemento fondamentale per la salute di soggetti diversamente abili

L’obiettivo dell’attività sportiva per i soggetti diversamente abili è permettere, da un lato un recupero, almeno parziale, di funzionalità biologiche compromesse e allo stesso tempo garantire un potenziamento delle funzionalità che non hanno subito danni.

Il risultato sarà un miglioramento del grado di autonomia e di autostima del soggetto che sarà più motivato anche a reinserirsi nei contesti sociali e lavorativi.
Oltre che per gli aspetti psicologici e sociali, l’attività sportiva ha un impatto determinante sul miglioramento dello stato di salute del soggetto diversamente abile, soprattutto di chi ha subito una lesione al midollo spinale.

Ormai molti studi hanno certificato che in questi soggetti, accanto alla patologia principale, si sommano una serie di problematiche legate allo stato di ipocinesi ovvero alla mancanza di movimento.
Tra queste problematiche ricordiamo: obesità, diabete, ipertensione, osteoporosi.

Per i soggetti che hanno subito una lesione a livello spinale bisogna inoltre ricordare che a queste problematiche vanno aggiunte quelle legate ai danni del sistema nervoso autonomo (sistema che regola tutte le funzioni che non sono controllate volontariamente) ovvero aumento della frequenza cardiaca per sostenere un determinato sforzo e aumento della rigidità delle pareti dei grossi vasi sanguigni con conseguente aumento della pressione arteriosa e così via.

Per gli atleti affetti da disabilità motoria agli arti inferiori, gli sport di resistenza (es. atletica leggera su pista, sci nordico seduti) o misti (es. basket su carrozzina), che prevedono un lavoro massiccio delle braccia, portano ad un notevole miglioramento della massima potenza aerobica, indice importantissimo per determinare lo stato di salute e la qualità della vita, non solo dei soggetti diversamente abili ma anche nelle persone normodotate.

Alcuni studi hanno dimostrato che valori di massima potenza al di sotto di una certa soglia spesso non garantiscono ai soggetti diversamente abili di svolgere normali attività quotidiane in autonomia.

Attenzione, per migliorare la potenza aerobica non è necessario dedicarsi a sport ad elevata richiesta energetica; altri studi hanno dimostrato come anche sport a minor impegno energetico (vedi tiro con l’arco) garantiscono valori di massima potenza aerobica tali da garantire la completa autonomia nella vita di tutti i giorni.

Accanto a questi benefici cardiopolmonari, si aggiungono notevoli benefici a livello psicologico; è stato infatti dimostrato che in soggetti disabili che praticano attività sportiva vi è una diminuzione della depressione e degli stati d’ansia e di contro un miglioramento del tono dell’umore.

Foto: archivio Qdpnews.it
Autore: Stefano Sedassari – Sistema Ratio Centro Studi Castelli

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