Spreco alimentare: le buone prassi da adottare

Un diario per descrivere giorno per giorno i comportamenti di 400 famiglie italiane in tema di sprechi alimentari. Il progetto “Reduce”, voluto dal Ministero per l’Ambiente, ha l’ambizioso obiettivo di determinare l’entità reale, e non solo quella stimata, degli alimenti che finiscono nella spazzatura senza essere consumati.

Contrastanti i risultati registrati dalle attività finalizzate all’educazione alimentare. Da un lato cresce la percentuale di chi insegna ai figli a non sprecare, in un anno si è passati dal 62% al 78% indice di un’attenzione cresciuta che si vuole tramandare come bagaglio culturale alle future generazioni, dall’altro lo spreco alimentare in Italia ha raggiunto cifre preoccupanti.

I dati dello spreco

Da una ricerca dell’Osservatorio nazionale Waste Watcher, lo spreco annuale di cibo in Italia ammonta a circa 16 miliardi di euro, ovvero l’1% del Pil (rilevazione basata per la prima volta su test reali e non solo percettivi). Si spreca soprattutto nelle case: circa 145 kg di cibo all’anno per famiglia, ovvero il 75% dello spreco complessivo in Italia per un costo di € 360,00 l’anno.

Allo spreco domestico vanno sommate le perdite all’origine, quelle definite “nel campo” (1 miliardo e 25 milioni), gli sprechi nell’industria (1 miliardo e 160 milioni) e nella distribuzione (1 miliardo e 430 milioni). Si arriva così al valore di 15 miliardi e 615 milioni di spreco alimentare annuo (elaborazione Distal Università di Bologna e Last Minute Market su dati Borsa Merci Bologna).

I trucchi anti spreco

Per ridurre questi numeri, in occasione della quarta Giornata nazionale di prevenzione degli sprechi promossa dal Ministero dell’Ambiente, la Coldiretti ha presentato un “vademecum” con consigli su come comportarsi per evitare acquisti non necessari.

E si inizia proprio da questo:

• redigere sempre la lista della spesa per fare acquisti mirati;
• leggere attentamente la scadenza sulle etichette;
• verificare quotidianamente il frigorifero dove i cibi vanno correttamente posizionati;
• effettuare acquisti ridotti e ripetuti nel tempo;
• privilegiare confezioni adeguate;
• scegliere frutta e verdura con il giusto grado di maturazione;
preferire la spesa a chilometri zero che garantisce una maggiore freschezza e durata;
• riscoprire le ricette degli avanzi, ma anche non avere timore di chiedere di portarli a casa quando si mangia al ristorante.

In Italia i 5 milioni di tonnellate di prodotti alimentari che finiscono nella spazzatura ogni anno non sono solo un problema etico, ma hanno conseguenze anche sul piano economico e ambientale per l’impatto negativo sul dispendio energetico e sullo smaltimento dei rifiuti.

Fare la lista della spesa aiuta a non comperare il superfluo mentre la frutta e verdura acquistata direttamente dal produttore, se possibile, dura anche una settimana in più non dovendo rimanere per tanto tempo in viaggio.

Particolare attenzione va riservata poi alla conservazione dei prodotti acquistati ricorrendo a tecniche di economia domestica, mantenendo frutta e verdura fresche lontano dai punti di calore per evitarne l’eccessiva maturazione, l’olio extravergine al buio per evitarne l’ossidazione, come le patate per evitare il germogliamento.

Family bag

Va anche ricordato che la richiesta di portare a casa gli avanzi dei pasti consumati al ristorante è un diritto dei clienti dopo l’entrata in vigore della legge 166/2016 sugli sprechi alimentari che “promuove l’utilizzo, da parte degli operatori nel settore della ristorazione, di contenitori riutilizzabili idonei a consentire l’asporto degli avanzi di cibo”. Su quello che viene chiamato il “family bag” nei ristoranti, è cresciuto l’interesse dei cittadini in chiave di prevenzione degli sprechi.

Da una recente ricerca emerge infatti che l’80% dei frequentatori dei ristoranti chiede la “family bag” ma un italiano su due teme che i ristoratori avranno il timore di diffondere questa pratica.

Il 75% dei clienti propone invece l’introduzione di particolari contenitori per superare qualche piccolo imbarazzo che ancora rimane nel portare a casa gli avanzi del pasto.

Leggere le etichette

Di fondamentale importanza è la conoscenza delle informazioni fornite in etichetta con riguardo alla scadenza dei prodotti ed in particolare in merito al diverso significato tra “Da consumarsi entro…” e “Da consumarsi preferibilmente entro…”.

La dicitura “Da consumarsi entro...” è la data entro cui il prodotto deve essere consumato ed anche il termine oltre il quale un alimento non può più essere posto in commercio. Questa scadenza non deve essere superata altrimenti ci si può esporre a rischi per la salute.

Si applica ai prodotti preconfezionati, rapidamente deperibili come il latte fresco (7 giorni) e le uova (28 giorni).
Un discorso diverso merita invece il Termine Minimo di Conservazione (TMC) riportato con la dicitura “Da consumarsi preferibilmente entro…” che indica la data fino alla quale il prodotto alimentare conserva le sue proprietà organolettiche, gustative o nutrizionali specifiche.
Sempre che le condizioni di conservazione siano adeguate e senza con questo comportare rischi per la salute in caso di superamento limitato della data.

Ovviamente tanto più ci si allontana dalla data di superamento del TMC, tanto più vengono a mancare i requisiti di qualità del prodotto, quale sapore, odore, fragranza.

E se proprio non si riescono a “salvare” tutti gli alimenti, i rifiuti della tavola vadano a finire nella raccolta dell’umido per poi essere utilizzati per ottenere un ottimo “compost” (fertilizzante) per orti e giardini oppure entrare nella raccolta differenziata delle città.

Foto: archivio Qdpnews.it
Autore: Roberto Giulietti – Sistema Ratio Centro Studi Castelli

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