L’innalzamento della soglia di esenzione 2023 alla luce delle norme sul reddito di lavoro dipendente.
Nei propositi espressi dal legislatore sulle misure volte ad accrescere il reddito delle famiglie, oltre alla riduzione dell’imposta sui premi di risultato al 5%, alla conferma dell’esonero contributivo di 2 punti percentuali con l’ulteriore incremento di un punto percentuale per le retribuzioni imponibili previdenziali sino a € 1.923,00, all’esenzione fiscale dei buoni carburante fino a € 200,00, c’è anche quello di innalzare la soglia di esenzione dei cosiddetti fringe benefit e di potenziare il welfare aziendale.
Come noto, per quanto riguarda i fringe benefit, la loro natura di retribuzione permette di riconoscerli anche al singolo lavoratore con intese individuali, beneficiando ex art. 51, c. 3 del Tuir di un’esenzione contributiva e fiscale entro il limite di € 258,23. Superato tale limite, considerando tutti gli eventuali fringe benefit erogati nell’anno, l’intera somma concorre a formare il reddito.
È dunque auspicabile che, mantenendo fede ai propositi espressi e per dar seguito alla linea introdotta con il primo intervento legislativo (D.L. 18.11.2023, n. 176, c.d. Aiuti-quater) che, con riferimento al 2022, aveva incrementato limite a € 3.000,00, si prosegua in questa direzione stabilendo in modo strutturale l’incremento della soglia di esenzione.
È altresì importante che l’eventuale innalzamento della soglia resti nell’area della disciplina propria dell’art. 51, c. 3 Tuir come retribuzione non monetaria di natura incentivante al fine di valorizzare la prestazione lavorativa e non lo si limiti, restringendone il campo di applicazione, a certi contesti normativi propri del welfare aziendale. Con tale generica espressione si intende quell’insieme di prestazioni di utilità sociale e assistenziale erogato ai dipendenti al fine di integrare la retribuzione monetaria in funzione di sostegno al reddito e di miglioramento del benessere delle persone, favorendo un buon equilibrio tra vita privata e lavoro. L’introduzione di un piano di welfare aziendale, a differenza dei fringe benefit, trova tuttavia la propria genesi e disciplina in diverse fonti come l’accordo individuale, la contrattazione collettiva, il regolamento interno vincolante o l’atto unilaterale volontario del datore.
La fonte utilizzata non crea problemi per i lavoratori, in quanto il valore dei beni e servizi offerti alla generalità o categorie dei dipendenti risulta comunque totalmente esente sia dal punto di vista fiscale che previdenziale. La situazione differisce invece per i datori di lavoro, in quanto alla fonte istitutiva si collega un diverso trattamento fiscale. Nel caso in cui il welfare aziendale sia disciplinato da contratto-accordo o regolamento interno vincolante, la deducibilità IRES è pari al 100%; se invece è concesso come atto unilaterale dal datore di lavoro, la deducibilità torna al limite del 5/1.000 del costo delle retribuzioni sostenute nell’anno.
È indubbio, tuttavia, che tale particolare disciplina fiscale e contributiva abbia favorito da parte delle aziende, soprattutto di grandi dimensioni, l’adozione di politiche retributive finalizzate al riconoscimento di beni e servizi di utilità sociale da mettere a disposizione dei singoli o della generalità dei lavoratori per contenere il costo del lavoro e contestualmente intervenire sul potere di acquisto dei lavoratori e anche sulla loro fidelizzazione. Queste politiche sul potere di acquisto dei lavoratori mediante il riconoscimento da parte delle aziende di beni e servizi sotto forma di fringe benefit o welfare aziendale possono, però, costituire anche un volano per sostenere l’economia locale. In particolare, si tratta di prevedere strumenti che incentivino l’acquisto verso piccole attività commerciali, artigianali e professionali, per esempio utilizzando fringe benefit spendibili solamente presso attività e servizi di prossimità (e non nella grande distribuzione), valorizzando così il commercio locale.
Ampliando poi la sfera alle opportunità offerte dal welfare aziendale con le cosiddette prestazioni di utilità sociale e superando una visione consumistica, potrebbe divenire estremamente interessante creare collegamenti con i servizi messi a disposizione dal Terzo settore presenti nel territorio e dagli stessi enti locali. Si pensi, ad esempio, a politiche locali volte al prolungamento del tempo scolastico, all’offerta di servizi per anziani o per infanzia, ad accordi per organizzare prestazioni di prevenzione sanitaria. In tal modo le politiche proprie del welfare aziendale potrebbero conciliarsi con le risorse del cosiddetto welfare territoriale, innescando potenziali circoli virtuosi di sviluppo economico e sociale locale.
Per far si che queste sinergie si incontrino è importante prevedere piani di welfare che offrano ai dipendenti beni o servizi per il benessere personale e familiare funzionali ai servizi già presenti nel territorio, soddisfacendo le diverse esigenze della comunità.
In questa azione di collegamento tra welfare aziendale e territoriale risulta fondamentale l’intervento dell’Ente pubblico locale, che deve farsi promotore e coordinatore del processo partecipato nel territorio di sua pertinenza, favorendo l’incontro fra fornitori e fruitori dei beni e servizi. Così facendo si possono anche contrastare alcune criticità di carattere economico, organizzativo e culturale che hanno limitato, in particolare per le piccole e medie imprese, l’adozione di politiche di welfare estendendone i benefici non solo ai lavoratori, ma anche agli altri soggetti presenti nella comunità.
La sfida, che è anche un’opportunità, sta dunque nel consolidare ed incrementare i benefici legati allo sviluppo del welfare aziendale per aziende, lavoratori e istituzioni pubbliche, uscendo dai confini delle imprese per generare impatti positivi anche a livello territoriale, in un’ottica di utilizzo delle risorse a disposizione, assecondando peraltro quel particolarismo dei territori proprio della nostra tradizione e storia.
Autore: Andrea Guido Lanfranchi – Sistema Ratio Centro Studi Castelli