Nei giorni in cui ricordiamo la Liberazione dall’Italia dal giogo della dittatura nazifascista e la fine della seconda guerra mondiale, prima tappa verso la nascita della democrazia nel nostro Paese, non possiamo non fermarci a riflettere proprio sul valore della libertà per la vita delle persone e della comunità. Ci sono generazioni, come quella a cui appartiene l’estensore di queste note, che hanno ricevuto in dono la pace nella libertà da parte di coloro che hanno vissuto, sofferto e lottato per la conquista del diritto fondamentale e primario per la convivenza civile e l’espressione della piena cittadinanza.
Queste generazioni sono venute dopo, e hanno raccolto a piene mani i frutti di quanto seminato con idealità, sacrifici e impegno, anche “spes contra spem”, da coloro che li hanno preceduti, affrontando ogni giorno tempi irti di fatiche, oppressioni e limitazioni allo sviluppo della propria personalità e delle dinamiche sociali.
La libertà, quindi, auspicata e agognata, attesa e sognata, desiderata e accarezzata come irresistibile dimensione basilare dell’individuo, del suo credo, delle sue relazioni, del suo essere e agire all’interno del tessuto sociale, di una democrazia formale e vitale nel riconoscimento effettivo dei diritti in capo ai suoi cittadini. Ci hanno creduto fortemente e hanno lavorato instancabilmente per il raggiungimento di questo grande obiettivo, quanti hanno osato rischiare anche la propria vita perchè un giorno potesse risplendere una stagione nuova di concordia e di democrazia per tutti.
Guardando con fiducia incrollabile a questo felice traguardo, hanno sopportato sofferenze di ogni genere coloro che sono stati perseguitati, offesi, imprigionati e umiliati durante la detenzione nei campi di sterminio dell’abisso del male, dove hanno sopportato angherie e patimenti di ogni genere confidando che un giorno potesse finire la guerra e affermarsi la pace, la libertà e la giustizia per tutti.
“Il reticolato nudo e spinoso s’è destato al sole d’aprile ed ha germogliato il fiore della libertà”: così scrisse nel suo diario di prigionia il compianto ministro Francesco Fabbri internato nei lager nazisti, in quel bellissimo diario che racconta il tempo lungo della sua detenzione, durante il quale egli maturò la vocazione all’impegno personale e diretto in politica, al servizio della sua amata gente e del bene comune. Ecco il senso pieno della libertà, che non è arbitrio e affermazione egoistica dei propri diritti e interessi ma si coniuga indissolubilmente con il concetto di responsabilità, in una sintesi dinamica che rifiuta ogni forma di imposizione ingiustificata, coazione e oppressione, e al tempo stesso impegna a “rispondere” in pienezza all’anelito comune di solidarietà e di cooperazione, per una pienezza di umanità.
Un concetto di libertà, però, mai conquistata per sempre, mai data per scontata, mai acquisita come se si trattasse di un qualcosa di innato, ordinario e consueto nella vicenda dell’umanità. Più che altro, un concerto di libertà da riconquistare ogni giorno, da gustare nella sua bellezza quotidiana, da vivificare con un apporto di convincimenti e di stile che metta in risalto la sua intima connessione con le aspirazioni più alte e più nobili dell’animo umano. Tutto ciò nella vita personale e nella dimensione di comunità.
A conferma, basti pensare a come la libertà e la stessa vita democratica siano stati messi a repentaglio nel nostro Paese durante la lunga e durissima stagione del terrorismo, a partire dagli anni ’70 del secolo scorso, che vide tanti fedeli servitori dello Stato, le menti più lucide e i riformatori più illuminati, cadere uccisi per le barbarie di chi voleva imporre con la forza odiosa e brutale della violenza un nuovo ordine politico negatore della libertà dei singoli e della libera convivenza democratica.
Appunto. Più che mai, abbiamo oggi bisogno di recuperare il senso profondo e la verità di questa storia di libertà e di democrazia, che ci allontani dalle negatività di disvalori e atteggiamenti miopi, sterili, divisivi e inconcludenti, peggio, polemici e offensivi – una “libertà da” – e metta invece in rilevo la “libertà per”, quella che si mette in gioco, si pone al servizio, diviene fattiva e feconda, suscita processi innovativi, costruisce nuove dimensioni di socialità e incarna nelle istituzioni l’idea dell’autentica solidarietà, quale determinazione ferma e perseverante di agire per il bene comune, bene di tutti e di ciascuno.
Quindi, anche nella vita di una democrazia ogni epoca storica deve guadagnare e riguadagnare da capo la sua misura di libertà. Il che significa camminare su un crinale sempre difficile, consapevoli delle insidie e dei tarli che la minacciano o ne limitano la piena espressione.
Fortunatamente, in campo occidentale ed europeo non temiamo che le nostre libertà civili possano oggi essere compromesse da regimi oppressivi e anti democratici Questo avviene a dispetto di tanti altri Paesi che nel mondo invece continuano a concepire in senso autoritario e dittatoriale la loro organizzazione istituzionale: le lotte sanguinose per la libertà e i diritti civili delle donne dell’Iran e dell’Afghanistan, ad esempio, ce lo dimostrano con drammatica e quotidiana verità.
Garantiti comunque per noi i diritti sanciti dalla Carta Costituzionale, nel tempo complesso che stiamo vivendo siamo certi di poter davvero esercitare appieno la nostra libertà, la nostra capacità critica, la nostra autonomia di giudizio, la nostra responsabilità?
Nonostante la bellezza e la fortuna, anche il privilegio del nostro essere cittadini liberi, a volte non sembriamo “stanchi” di questa libertà, e di essere consegnati a noi stessi, appesantiti da una responsabilità difficile che è più agevole delegare? Non è più prudente aggirare il “rischio della libertà”, che comporta anche il coraggio della solitudine nelle scelte, e l’adagiarsi invece nella situazione confortevole di un conformismo accettabile? Del resto, se osserviamo attentamente, nelle società ad alto sviluppo fanno sentire i loro effetti potenti fattori di omologazione, funzionali a influenzare – esistono gli “influencer” , appunto – un certo tipo di sviluppo. Le mode e la pubblicità, la rincorsa agli “status symbol”, mille sollecitazioni oltre la soglia di fisiologica sopportazione, messaggi subliminali e suggestioni, abiti mentali, giudizi prefabbricati ad arte, i temi del “politicamente corretto”: in questo modo, la facoltà di giudicare in proprio è messa a dura prova. A volte è più comodo intrupparsi nel gregge che non camminare da soli, magari controvento.
Del resto, sotto il ribollire effervescente che osserviamo in superficie, quella somma di poteri che tendono a stabilizzare il “sistema”, a dispetto delle profonde fatture che lo attraversano, fa scaturire quel pensiero unico dominante che ammorbidisce e stempera quanto più possibile le opinioni dissonanti, le avvolge e le rende uniformi, omogenee e compatibili.
Ci domandiamo dunque: siamo davvero – e fino a che punto – liberi? In effetti, noi pensiamo alla libertà come “diritto”. Non è forse giunto il momento di concepirla e coltivarla come “dovere”, ossia come spazio interiore da costruire, nutrire, coltivare giorno per giorno, preservare e in cui ospitare l’autonomia critica e la responsabilità diretta, personale di ciascuno? Per pensare e raggiungere l’autentico bene comune, con lo spirito concreto dell’autentica libertà.
(Foto: web).
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