Un Velociraptor per amico

Il Velociraptor

Il piccolo Piero (il nipotino di un’amica), in una lettera compilata diligentemente da una settimana, ha chiesto a Babbo Natale un Velociraptor mettendo bene in chiaro che i cuccioli di altre specie “non valgono”. Nella lettera è scritto che è importante che l’uovo di Velociraptor venga consegnato poco prima della schiusa, così quando Ugo (gli ha già dato un nome decidendo che sarà maschio) romperà l’uovo vedrà subito Piero e diventeranno amici per la pelle.

Piero ha sette anni ed è convinto di quello che chiede visto che la lettera è cosparsa di disegni da cui si capisce che dinosauri e bimbi giocano assieme a rugby. Piero ha anche capito cos’è l’imprinting; ha capito che è un processo attraverso il quale gli animali giovani stabiliscono legami significativi con individui adulti (è così che Piero percepisce sé stesso, ovviamente), apprendendo comportamenti cruciali per la loro sopravvivenza e adattamento all’ambiente circostante.

Quello che gli risulta ancora difficile capire è l’inattuabilità della richiesta. Quando si cerca di spiegare al piccolo Piero la differenza tra le storie raccontate in molti film e la realtà cominciano le vere difficoltà. Non bastasse, la maestra Jessica gli ha “insegnato” la potenzialità del DNA e Piero mi spiega che è da quella lezione che è stato ispirato nella richiesta!

Sarebbe interessante far capire a Piero che il DNA, molecola molto “potente”, si degrada piuttosto facilmente. Su ossa di Moa (uccelli fossili che avevano dai 600 agli 8000 anni) i ricercatori hanno calcolato che il DNA ha un’emivita di 521 anni. Ciò significa che dopo 521 anni, la metà dei legami tra i nucleotidi nella struttura portante di un campione si sarebbe rotta; dopo altri 521 anni l’altra metà  rimanente si sarebbe degradata; e così via. Non bastasse, la paleogenetica prevede che anche se si trovasse un osso di Velociraptor ad una temperatura di conservazione ideale di -5 ºC, ogni legame verrebbe effettivamente distrutto dopo un massimo di 6,8 milioni di anni. Il DNA infatti cesserebbe di essere leggibile molto prima, forse dopo circa 1,5 milioni di anni, quando i filamenti rimanenti sarebbero troppo corti per fornire informazioni significative.

Al piccolo Piero è stato quindi spiegato che le ossa dei dinosauri che vorrebbe allevare come animali da compagnia dovrebbero avere almeno 65 milioni di anni. Non ci siamo con i tempi concludo, di fatto non è possibile avere un piccolo velociraptor come amico.

Piero ascolta attento, credo abbia capito le metafore usate per descrivere il tempo profondo (per un bimbo distinguere tra 500.000 anni, 6 milioni e 65 milioni di anni fa non è cosa semplice), mi guarda serissimo (spero non si sia arrabbiato per aver distrutto il suo sogno) e volge lo sguardo verso la madre chiedendo “ma se domani ci riescono?”

L’intervento della nonna paterna è lapidario “un velociraptor non si può, sporca troppo!”. E si parla d’altro.

(Foto: archivio Qdpnews.it).
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