Nell’acqua dolce della Marca anche la rana, “il tordo dei poveri”

Una rana alle Fontane bianche di Sernaglia

Dolci, sonore, rauche rane,
sempre ho voluto farmi rana,
sempre ho amato lo stagno, le foglie
sottili come filamenti,
il mondo verde dei nasturzi
con le rane padrone del cielo.
(Pablo Neruda)

La rana, un tempo cibo umile e per questo ribattezzata “tordo dei poveri”, oggi è un alimento per raffinati gourmet. Pietanza ammessa nei giorni “di magro”, nei ricettari della tradizione compare quasi sempre nel capitolo dedicato ai pesci d’acqua dolce insieme a lumache, gamberi e lamprede: tutti esseri con i quali il saltellante anfibio condivide l’umidità dell’habitat e alcune tecniche di cattura. 

Nel nostro territorio le specie di interesse alimentare sono diverse e non sempre facili da distinguere: la rana agile (Rana dalmatina), bruno rossastra, che vive nei boschi umidi; la rana di Lataste (Rana latastei), colori dal marrone al giallo rossiccio, il cui ambiente elettivo sono laghi, canali, torrenti, risaie e occasionalmente le selve di frassino, castagno e quercia.

La rana rossa, alpina o montana (Rana temporaria) con livrea simile alle precedenti, ma più robusta e come dice il nome tipica degli ambienti in quota; la rana verde di Lessona (Rana lessonae), verde brillante con sfumature brune, regina di stagni e golene, ma rintracciabile anche nei boschi e nei prati dopo le esondazioni; la rana dei fossi (Rana esculenta) che colonizza le rive di bacini e corsi d’acqua e, infine, la rana verde maggiore o ridibonda (Rana ridibunda), specie comune e opportunista che si adatta un po’ a tutti gli ambienti sino a ora descritti.

Animali onnivori, le rane si nutrono prevalentemente di insetti, ragni, vermi, piccoli crostacei e alghe. Alcune specie non disdegnano piccoli mammiferi, uccelli, pesci e in caso di necessità non esitano a ricorrere al cannibalismo. Durante il loro caratteristico ciclo vitale, la metamorfosi, le rane sono predate da insetti, uccelli, rettili come la natrice o bissa ranèra, gamberi e pesci che divorano uova, larve, girini ed esemplari adulti. Le minacce più temibili per questi anfibi, severamente tutelati dalla legge, restano l’inquinamento, la rarefazione di aree umide, la voracità di nuove specie quali il pesce siluro.

Nella Marca Trevigiana la rana, in dialetto sgrèla, sconpìs, rana pissòta, pissòna o sconpissòna è da sempre considerata un cibo squisito. Catturata per integrare o variare la dieta quotidiana, protagonista di sagre o memorabili convivi, esibita come un trofeo dai bimbi più intraprendenti, veniva acquistata a malincuore dalle massaie più parsimoniose diffidenti dinanzi a tanto scarto.

Armati di fiocina (spunciòt, spunciòn, sponciariòea) e di lume (ciàro a carburo), nella stagione propizia (dalla primavera ai primi giorni d’autunno) i ranèri si lanciavano all’inseguimento delle prede cercando di intuirne e anticiparne i salti. Alcuni alle fiocine o alle pinze preferivano una lenza innescata con un fiocco rosso o con petali di papavero. Si narra che un leggendario ranèr fosse talmente abile da ingannare le prede con i filamenti grezzi del bozzolo del baco da seta. La rana, credendo di inghiottire una farfallina, restava impigliata il tempo necessario affinché l’uomo, con gesto fulmineo, la lanciasse in aria per poi raccoglierla al volo.

Tale era l’abbondanza di rane nei palù, le zone umide del Trevigiano, che il termine ranèri includeva non solo i cacciatori di anfibi, ma tutti gli abitanti di queste caratteristiche campagne.    

Pulite e lasciate spurgare un paio d’ore in acqua fresca, le rane venivano fritte oppure divenivano la base per risotti o zuppe, quali la sopéta de rane a la sampolese, talmente delicate da essere raccomandate ai convalescenti. Oggigiorno è sempre più difficile gustare i piatti della tradizione se non ricorrendo a esemplari d’allevamento o importati da terre lontane.

Fra le tante calamità che si abbattono sulle colonie di anfibi e sulle comunità umane vi è la siccità: ma per chi avesse ancora la fortuna, nelle notti d’estate, di cogliere in lontananza l’insistente gracidio delle ranocchie non tutto è perduto perché, come recita il proverbio, “dov’è la rana l’acqua non è lontana”!    

(Foto: Qdpnews.it).
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