Enrico, instancabile chef dell’Albergo al Sole, su lavoro in cucina e generazione Z: “Unica regola portare più valore di quello che togli”

Enrico Villanova, chef dell’Albergo al Sole ad Asolo
Enrico Villanova, chef dell’Albergo al Sole ad Asolo

Trentadue anni, un accento un po’ bresciano e una gran voglia di lavorare: sono le caratteristiche che fin da subito si rendono riconoscibili in Enrico Villanova, chef dell’Albergo al Sole ad Asolo. Come altri che fanno il suo mestiere e che – secondo i gestori – sono sempre più rari, non guarda agli orari e lavora duramente in cucina dal pomeriggio fino a sera tardi, per poi riprendere l’auto e tornare a Lusiana, un paesino sull’altopiano di Asiago.

Lì Enrico dà una mano anche nell’azienda di famiglia, una sorta di casoin, per mantenere aperta l’attività storica dei suoi genitori: anche se lui, a detta sua, lo fa volentieri, prolungando notevolmente di fatto il suo orario lavorativo, la questione riguarda nuovamente la mancanza di personale. Ed ecco posta la solita domanda: “chi lo fa, se non lo faccio io?”. Ci troviamo quindi a discutere con lui, di classe “millennials”, delle caratteristiche della generazione Z nel suo contesto lavorativo.

Enrico ci racconta che iniziò lavorare in prima superiore in un laboratorio di pasticceria ad Asiago, poi cominciò a visitare vari ristoranti stellati. La prima grande esperienza fu di circa sei anni in un ristorante sulla sponda lombarda del Lago di Garda, dove imparò davvero cosa significa lavorare in cucina. Oggi, oltre alle ore di lavoro, Enrico deve affrontare ogni giorno il viaggio da Asiago ad Asolo e questa è, in genere, un’altra condizione che spaventa chi sta valutando se accettare o meno un lavoro.

“Ogni giorno è un saliscendi tra le colline, ma comunque è necessario reinventarsi in questi casi. La mancanza di personale è un problema serio, bisogna affrontarlo cercando di essere presenti. Anche per questo questa cucina qui Al Sole ha deciso di rimanere aperta soltanto a cena: occorre valutare bene i turni effettivi, per non abbassare la qualità del servizio solo per tentare di aumentare i clienti” ci spiega Enrico.

“Sì, spesso i ragazzi che vengono qui in prova o durante la stagione hanno delle pretese fuori luogo. È vero che oltre al lavoro si ha effettivamente una vita, ma quando ho iniziato ad avere delle pretese ero già avanti con gli anni e avevo fatto esperienza. All’inizio non mi interessava, mi bastava lavorare. Se ti piace, non è la mezz’ora in più quella difficile”.

“Certo, bisogna fare questo percorso finalizzandolo alla tua passione, specialmente da giovani, perché poi un lavoro come questo diventa vincolante se hai famiglia. Non si concilia molto con gli impegni famigliari. Quello che consiglio è sicuramente investire in formazione e rimanere aggiornati, anche sulle cose apparentemente fuori contesto. Non dev’essere sempre tutto inerente al nostro stile di cucina, bisogna anche spingersi oltre per cercare un’unicità”.

“In cucina in genere c’è cooperazione. È un ambiente che può sembrare rigido, quasi militare, ma in una cucina ordinata e professionale quando uno fa il suo dovere e si concentra sulle operazioni che gli vengono indicate nessuno viene mai a obiettare. Poi riconosco che esistano anche condizioni avverse ed esperienze lavorative pessime, ma con le consapevolezze di oggi anche un giovane dovrebbe saperle riconoscere dopo poco”.

“Diciamo che, secondo me, chiunque scelga di fare un lavoro del genere deve tenere in considerazione una cosa: il ristorante è e non può non essere un’azienda, devi sempre portare più valore di quello che togli. Quando arrivi a portarne molto più di quanto richiesto, allora puoi iniziare a pretendere”.

(Foto: Qdpnews.it © riproduzione riservata).
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