Laura Serena torna nella sua Asolo con “Il ciclo”, uno spettacolo sul tempo che passa: “Con il teatro vivo mille vite diverse”

Laura Serena
Laura Serena

Laura Serena è pronta a calcare il palcoscenico ad Asolo, suo paese d’origine, nel teatro che porta il nome di Eleonora Duse (1858-1924), un simbolo del teatro moderno e considerata una delle più grandi attrici di tutti i tempi.

“Il ciclo”, questo è il titolo della rappresentazione teatrale, scritta da Ilaria Vajngerl, diretta da Lorenzo Maragon e interpretata da Laura Serena, verrà messo in scena domani, venerdì 9 giugno alle 20.30. L’evento è ospitato e organizzato dall’ Academia dei Rinnovati di Asolo con il patrocinio del Comune.

Laura Serena, classe 1984, diplomata alla scuola del Piccolo Teatro di Milano, definisce lo spettacolo “un antidoto contro l’ansia”.

Perché?

“Ripercorrendo il tempo di una vita si ha una visione globale delle cose che fa sorridere, permette di vedere ansie, preoccupazioni, gioie, che attraversano la vita in modo quasi distaccato. È una riflessione sul tempo che passa e su come noi ci adattiamo ai cambiamenti che produce.”

Come ci si sente a tornare a casa e recitare su un palco che porta un nome così importante?

“Molto emozionati, percepisco un grande affetto. Non mi aspettavo che così tanti amici mi dicessero ‘vengo a vederti’, sento che tutto quello che avevo da piccola mi sta aiutando in un momento non proprio facile. Lavorando come attrice infatti ci sono sempre periodi in cui si lavora e hai l’umore alto, sei sulla cresta dell’onda, pimpante, iper vitale, ma ce ne sono poi altri in cui la macchina si ferma e…dramma!Mi trovavo proprio in uno di questi momenti quando l’associazione dell’Academia dei Rinnovati mi ha contattata per chiedermi se volevo fare qualcosa ad Asolo. È stato come tornare in famiglia, e da lì poi sono nate diverse opportunità. L’ho sentito come il germoglio di un nuovo periodo di lavoro.”

Quali sono state le tue esperienze teatrali più recenti?

“L’ultimo spettacolo che ho fatto è stato a febbraio, ho lavorato al teatro Franco Parenti di Milano con la compagnia “Domesticalchimia” di cui faccio parte insieme alla regista Francesca Merli. La messinscena si intitola “La biblioteca umana dello spettatore”, uno spettacolo sui cinquant’anni della storia del Teatro, realizzato attraverso interviste agli spettatori per capire come il teatro abbia influito sulla storia di Milano. Attingendo ai loro ricordi abbiamo condotto gli spettatori in un viaggio temporale dagli anni Settanta al giorno d’oggi. Questa modalità di lavoro la usiamo anche all’interno del festival di teatro contemporaneo “Gioiosaetamorosa” (GEA) organizzato dal Comitato Teatro di Treviso [ndr di cui fa parte insieme a Francesca Merli] che si terrà il prossimo mese e che punta a coinvolgere l’intera cittadinanza.”

Qual è l’aspetto più esaltante di fare l’attrice?

“Recitando vivi mille vite diverse e questo ti fa imparare tantissime cose. Puoi non riconoscerti in determinati personaggi, come i criminali ad esempio, ma anche il fatto di dover ricostruire una giustificazione alle loro azioni e al loro modo di pensare ti permette di cogliere dinamiche che altrimenti non accetteresti. Capirle è fondamentale per poterle affrontare”.

In che modo il teatro può essere considerato un mestiere “difficile”?

“C’è poca comprensione del mestiere da parte di chi fa altro. Tendono a vederlo come un hobby, molto spesso ti chiedono “Si ok teatro, ma che lavoro fai?”, una domanda che a me scoccia tantissimo. Manca la cultura del teatro. Se il teatro fosse promosso di più nelle scuole, se la visione di spettacoli teatrali fosse incentivata forse già ci sarebbe un cambiamento… Poi purtroppo il teatro rimane un qualcosa di elitario, anche solo per i prezzi. Spesso il cinema costa meno del teatro.

Anche le istituzioni stesse non hanno una visione del nostro lavoro, non riconoscono che il mestiere di attore è strutturato in un modo particolare: non si riesce ad avere produzioni tutto l’anno. E questa discontinuità salariale non necessariamente corrisponde a una discontinuità da un punto di vista artistico. Il teatro non può essere paragonato alle forme di intrattenimento della televisione, è un’altra cosa. È un lavoro sulla comunicazione, sulle emozioni, è molto importante per l’essere umano.”

A questo punto non si può fare a meno di chiedersi a che livello il teatro possa inserirsi nella formazione di bambini e ragazzi nel proprio percorso di crescita.

“Sostengo da sempre che dovrebbe diventare materia curriculare obbligatoria. Col teatro si acquisiscono abilità che non saprei dove altro pescare, forse un po’ nello sport, ma in maniera diversa. C’è gioco di squadra, c’è collaborazione, ascolto dell’altro. Se vuoi che lo spettacolo funzioni devi stare in relazione con l’altro a tutti i costi, non c’è altro modo. Devi avere rispetto, devi uscire da te stesso per portare fuori a un pubblico quello che stai recitando. La cosa non è per niente banale. Anche solo il rapporto col corpo è importante.”

Quali sono le differenze più grandi tra cinema e teatro che nella tua esperienza hai avuto modo di osservare?

“Ultimamente sto avendo varie occasioni di lavorare per il video, ad esempio in alcuni cortometraggi. Mi piace molto perché è un lavoro di fino, di concentrazione, il cinema è molto meno fisico del teatro, oserei dire più mentale. Si tratta di un lavoro a microscopio, mentre l’impegno a teatro è molto più energetico, devi usare il massimo della potenza. Il video ad oggi consente una distribuzione molto più ampia quindi come attrice, per soddisfazione personale, mi piacerebbe molto trasferirmi in quel settore, anche se quello che faccio col teatro mi permette di lavorare con la cittadinanza e mi piace tantissimo.”

Hai seguito per un periodo un seminario di formazione a Londra. Quanto può contare formarsi all’estero nel teatro?

“Direi che se ne può parlare soprattutto per il cinema. Oggi ci sono molte produzioni che richiedono attori internazionali (Amazon, Netflix) quindi è importante saper parlare bene inglese perché se non sai la lingua perfettamente farai sempre il ruolo dello straniero. Per fortuna oggi esistono gli acting coach che quando devi fare cinema ti danno una mano con gli accenti, ecc.”

Qual è il consiglio che dai a un giovane che sogna di entrare in questo mondo?

“Di provarci subito. Io non avevo le idee chiare, ognuno poi ha il suo percorso, ma se è qualcosa che ti fa sentire vivo, che ti prende dalle viscere, è la cosa giusta. La passione va sempre seguita.”

Dopotutto c’è Clark Gable a rassicurare: “non dimenticare che nel mestiere di attore solo i primi 30 anni sono duri.”

(Foto: per concessione di Laura Serena)

Intervista a cura di Sofia Sossai.
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