Ottenere una scrivania in una Direzione Generale della Commissione Europea è qualcosa di molto ambìto, specie per i giovani italiani che hanno studiato relazioni internazionali e che, in Europa, sono tra i più numerosi a fare domanda. Lavorare negli “headquarters” di Bruxelles o sul campo nei vari Paesi del mondo, anche soltanto per un tirocinio, rappresenta il lavoro ideale per molti, ma il percorso per arrivarci prevede, oltre allo studio e alla passione, anche parecchia determinazione: questo per via di una serie di concorsi che si frappongono tra il candidato e un contratto a tempo indeterminato, con un sistema che premia i profili più qualificati.
Carolina Botter, di Asolo, è recentemente riuscita a entrare a far parte della Direzione Generale per i Partenariati Internazionali della Commissione Europea, che si occupa delle politiche di sviluppo dell’Unione Europea, e d’ora in poi darà il suo contributo nell’assicurare lo sviluppo sostenibile dei Paesi emergenti dell’Asia. Il suo percorso, che ha visto anche importanti esperienze sul campo in India e in Africa, può essere d’esempio per chi, come lei, desidera trovarsi a lavorare in un ambiente multiculturale in organizzazioni internazionali, come l’Unione Europea, che contribuiscono a promuovere la democrazia, i diritti umani e lo stato di diritto nel mondo.
“Mi sono interessata all’Unione Europea, ai suoi obiettivi e ai suoi valori quando ancora non si chiamava così: avevo dieci anni e il compagno di mia zia lavorava per quest’istituzione che mi sembrava distante ma al contempo determinante – racconta Carolina – Sono rimasta affascinata dal suo ruolo, ma poco dopo ho accantonato l’idea perché mi sembrava irraggiungibile. Ho fatto un corso di laurea triennale in mediazione linguistica e culturale e mi sono poi focalizzata in magistrale sulla cooperazione internazionale”.
“L’anno scorso ho fatto domanda per il Blue Book, un programma che fa da principale porta d’ingresso per l’Unione Europea. Ogni cittadino europeo può candidarsi: si tratta di un tirocinio retribuito di cinque mesi, ti candidi ed esprimi tre scelte per le direzioni, le istituzioni o le agenzie per cui preferiresti lavorare. In questo caso, il numero delle candidature di cittadini italiani prevale su quello degli altri Stati Membri e la competizione è elevata. Ciononostante, invito chiunque fosse interessato a candidarsi, perché rappresenta una possibilità unica per vedere da vicino e contribuire in prima persona ai processi e alle politiche delle istituzioni europee, che impattano la nostra vita di tutti i giorni”.
“Prima di spostarmi in Belgio, – continua – ho lavorato con alcune organizzazioni governative e non in India (Care&Share), poi in Ruanda (AVSI) e infine in Burkina Faso (AICS): in sincerità, avrei voluto rimanere in Africa ancora per qualche anno, poi con la pandemia e le frontiere chiuse ho preferito perlomeno avvicinarmi a casa e ho ritentato una candidatura a Bruxelles, riuscendo con immensa soddisfazione ad ottenere una posizione in Commissione Europea, nell’unità che si occupa di ridurre la povertà e di garantire lo sviluppo sostenibile nel Sud e nel Sud-Est Asiatico, oltre che di tematiche trasversali quali le migrazioni e i rapporti con ASEAN”.
“Certo, mi manca il lavoro sul campo. Da quando sono piccola ho sempre fatto volontariato, specie per quanto riguarda l’accoglienza dei migranti. Essendo nata dall’incontro di due culture diverse – mia mamma è di origini slovacche – so cosa significa sentirsi stranieri. Ad Asolo ho fatto volontariato nello SPRAR, gestito dalla cooperativa Una Casa per l’Uomo, insegnando l’italiano ai richiedenti asilo, mentre con ASCS Onlus ho partecipato ad alcuni campi di servizio e di condivisione con i migranti. L’ultima esperienza l’ho fatta a Bardonecchia, dove i migranti transitano prima di proseguire il loro viaggio, spesso in direzione del nord Europa. Insomma – conclude – il volontariato ha sempre fatto parte della mia vita. Io credo ancora, fermamente, nella fratellanza tra i popoli”.
(Foto: per gentile concessione di Carolina Botter).
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