Le osterie spina dorsale di un museo diffuso delle Colline: nella ricerca dello Iuav l’analisi (fra passato e futuro) del paesaggio Unesco 

Il professor PierAntonio Val

Qual è la chiave per fare sì che un territorio in sessant’anni si trasformi in una destinazione turistica di attrattiva mondiale, forte di un connubio perfetto fra prodotto (in questo caso il Prosecco di Conegliano Valdobbiadene) e paesaggio? E quali sono gli elementi del passato che possono contribuire a ripensare il futuro delle Colline oggi Patrimonio Unesco? 

Sono queste le domande che hanno guidato il prof. Pier Antonio Val e Gian Maria Casadei dello Iuav di Venezia nella loro ricerca intitolata “Strada del Prosecco: un museo diffuso” presentata ieri sera, mercoledì, all’auditorium Battistella-Moccia di Pieve di Soligo. L’analisi, condotta con sguardo accademico, è stata promossa in prima linea dal sindaco di Pieve, nonché presidente dell’IPA Alta Marca Trevigiana, Stefano Soldan e dall’Associazione per il Patrimonio delle Colline Unesco con il sostegno dell’azienda Bocon e della famiglia Schiratti che ha messo a disposizione il materiale d’archivio fra lettere, documenti e carteggi. 

Da sinistra Rebuli, Soldan, Val, Mazza, Vantaggi e Stefani

La ricerca indaga la nascita della Strada del Vino (oggi strada del Prosecco) avvenuta sotto la spinta di due visionari come Giuseppe Schiratti e Giuseppe Mazzotti fra i primi a intuire l’importanza di mettere in rete le osterie del territorio (oggi si parla di botteghe del gusto), lavorando sulla qualità dell’offerta, dell’ospitalità e sulla consapevolezza dell’oste, primo “venditore” del territorio.

Schiratti e Mazzotti furono due veri antesignani del marketing territoriale che arrivarono perfino a pensare a bicchieri e caraffe “brandizzati” con il simbolo della Strada del vino bianco, solo per citare uno dei molti esempi raccolti nella ricerca. È così che il 9 aprile 1962 si gettano le basi per la nascita della prima Strada del Vino in Italia – oggi se ne contano 150 – poi inaugurata ufficialmente nel ’66. Da quel momento, fra battute d’arresto e ripartenze, le Colline di Conegliano Valdobbiadene sono diventate un marchio noto in tutto il mondo suggellato dal riconoscimento Unesco nel 2017. 

Alla prima parte analitica del volume, dove emerge l’approccio scientifico-architettonico dei ricercatori, segue quella dedicata alle strategie future per coniugare la tutela del paesaggio allo sviluppo economico, arricchita da tanto di “decalogo delle opportunità” e di “atlante della rigenerazione” per un rilancio del patrimonio paesaggistico. 

Alla serata di presentazione al Battistella-Moccia, moderata dal giornalista RAI Giovanni Stefani, sono intervenuti Pier Antonio Val, insegnante di progettazione architettonica allo Iuav nonché autore della ricerca, il sindaco Stefano Soldan, il presidente della Strada del Prosecco e Vini dei Colli Conegliano Valdobbiadene Isidoro Rebuli, la segretaria regionale del Ministero della Cultura per il Veneto Marta Mazza e Giuliano Vantaggi, site manager dell’Associazione per il Patrimonio delle Colline del Prosecco di Conegliano Valdobbiadene Unesco. 

“Questo studio nasce con un duplice obiettivo: da un lato analizzare la prima Strada del Vino in Italia, poi modello per tutte le strade enologiche italiane, che ha creato cooperazione e progettualità condivise, e dall’altro focalizzarsi sulle prospettive future di rigenerazione del patrimonio paesaggistico e culturale – ha spiegato il prof. Val – In particolare abbiamo fatto un’analisi approfondita delle botteghe storiche domandandoci che ruolo potranno avere in una prospettiva di rilancio. Noi crediamo che possano essere la spina dorsale di un museo diffuso dove ciascuna può essere la vetrina di un pezzo di storia del territorio e contemporaneamente promuovere non solo il vino ma anche la consapevolezza sul valore del paesaggio”. 

“Questa ricerca propone un nuovo punto di osservazione sul territorio, coniugando passato e futuro delle Colline di Conegliano e Valdobbiadene, termini inclusivi che abbracciano tanti Comuni, ciascuno con le proprie peculiarità – ha sottolineato il sindaco Soldan – L’analisi del prof. Val  e di Gian Maria Casadei pone l’accento su una delle particolarità che accomuna i territori, ovvero le osterie in parte cancellate dalla modernità assieme ad altri luoghi che custodiscono la nostra storia e da cui dobbiamo ripartire lavorando sull’accoglienza e sul racconto del territorio coinvolgendo in primis i giovani che sono i veri architetti del nostro futuro”

Momenti della presentazione al Battistella-Moccia

“Se oggi la Strada del Prosecco è sinonimo di turismo ed eccellenza enogastronomica lo si deve ai padri fondatori la cui intuizione è ben illustrata in questa analisi – ha evidenziato Isidoro Rebuli  – Schiratti e Mazzotti furono due visionari che contribuirono a creare un vero e proprio marchio puntando sulla qualità. Erano quelli che nel ’62 mandavo in giro le commissioni (una sorta di ispettori della qualità ante litteram) che verificavano che il vino servito nelle osterie fosse buono, l’ambiente pulito e l’oste in grado di accogliere adeguatamente il cliente. Oggi, seppure con modalità diverse, anche noi proseguiamo su questa strada con oltre 200 soci. La voglia di valorizzare il patrimonio delle osterie c’è e lo dimostra il nostro progetto dedicato alle botteghe del gusto, andando verso la creazione di un disciplinare che alzi ancora più l’asticella della qualità”. 

Per Marta Mazza, la vera sfida del futuro sarà coniugare la logica produttiva con la necessità di conservare il paesaggio: “Mettere d’accordo queste due istanze è la sfida quotidiana che il Mistero della Cultura affronta nel paesaggio Veneto. In questo caso gli sforzi vanno rivolti verso la creazione di un piano paesaggistico ad ampio respiro, svincolandosi da un sistema autorizzativo ‘episodico’. In ogni caso, e qui sta il valore della ricerca presentata, per gettare le basi di una programmazione futura non si può prescindere dalla conoscenza storica”. 

Giuliano Vantaggi infine si è soffermato sulla spinta che il riconoscimento Unesco ha dato alla destinazione, al netto di due anni di pandemia. “Oggi vediamo un turismo composto per il 64% da stranieri, a fronte di un 20% nel 2015. Si va dunque verso l’internazionalizzazione del turista puntando sul turismo esperienziale e ‘fictionless’, un termine usato per la tecnologia che definisce un’esperienza ‘priva di frizioni’, facilmente accessibile, senza troppe mediazioni. È qui che si inserisce la figura dell’oste, o meglio del professionista dell’accoglienza, a cui il turista si rivolge per un consiglio aspettandosi di ricevere informazioni concise, efficaci e possibilmente nella propria lingua”. 

(Foto e video: Qdpnews.it ©️ riproduzione riservata). 
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