Reclusa in casa, costretta a mangiare gli avanzi e senza poter aver contatti con nessun estraneo e neppure con i suoi genitori rimasti in Marocco.
Questo l’incubo che un 37enne marocchino con l’aiuto di sua sorella di 46 anni, avrebbe fatto vivere alla moglie 35enne.
Vessazioni ai limiti della schiavitù che hanno fatto finire i due alla sbarra con l’accusa di maltrattamenti. Accuse che gli imputati, difesi dall’avvocato Enrico De Stefano, respingono. Il processo è iniziato ieri in tribunale a Treviso dove sarà ricostruito il calvario vissuto dalla donna per quasi due anni, fino a quando nel dicembre 2017 ha trovato il coraggio di scappare portando con sé la sua bambina.
Una storia di segregazione che sarebbe scaturita dalla gelosia del marito. L’uomo, infastidito dal carattere socievole della moglie, avrebbe deciso di “educarla” sottoponendola a un regime di vita “particolarmente doloroso”, con una vita costantemente sotto controllo. Il marito le avrebbe impedito di possedere un telefono cellulare, di usare gli apparecchi elettronici della famiglia, come telefoni e computer.
La 35enne non poteva avere contatti con la sua famiglia in Marocco né tanto meno con soggetti estranei alla famiglia. Non poteva uscire di casa da sola. Con lei dovevano esserci sempre il marito o la cognata che, quando il fratello era al lavoro, era incaricata di sorvegliarla.
I due la facevamo mangiare da sola, e le davano solo gli scarti e gli avanzi dei loro pasti.
Una vera e propria segregazione alla quale la donna si è ribellata scappando con la figlia di pochi anni e trovando rifugio da uno zio. Il marito l’ha denunciata per sottrazione di minore e lei, sentita dai carabinieri, ha raccontato tutto facendo partire l’indagine che ha portato alla sbarra il marito e la cognata.
(Fonte: Redazione Qdpnews.it).
(Foto: archivio Qdpnews.it).
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