Chi ci ha sempre vissuto ricorda che a Crespignaga i bambini risalivano un ruscello per catturare i gamberi d’acqua dolce. Quel corso d’acqua scendeva lungo la collina e passava accanto a un mulino che ora non c’è più, fino ad arrivare a una grande fattoria, ora diremmo un’azienda agricola, che giaceva esattamente sul bivio dove oggi passa via Gorghesana.
All’ombra delle colline asolane e della Rocca, il paesaggio di Crespignaga era incontaminato e abbellito dalla presenza di oliveti e vitigni.
Questo finché non arrivarono le gru di un’impresa edile, intenzionate a far spazio a una delle più odiate strutture architettoniche che il paese riesca a ricordare: nel 1971 i cittadini si videro completata una complessa combinazione di ferro e cemento capace di deturpare il panorama bucolico al primo sguardo. L’obiettivo della costruzione doveva essere quello di predisporre un condominio di villette moderno e innovativo vicino ad Asolo e alle maggiori aziende calzaturiere della zona.
“Il Mostro di Maser”, questo il nome scelto dai maserini, era il frutto di un progetto che avrebbe dovuto balzare all’occhio per le sue particolari asimmetrie, dal design futuristico e con un nuovo concetto di abitazione a schiera, per la quale le forme geometriche spigolose avrebbero garantito spazi differenti da quelli che siamo abituati a vedere in una casa: le scale d’accesso erano strette al punto da non riuscire a camminare appaiati, il tetto era spiovente e i solai presentavano diversi problemi strutturali così come le finiture, l’edificio prevedeva una gran quantità di spazi in comune e le spese per mantenerla erano altissime.
Ciò che più contava era il fatto che nessuno avesse intenzione di acquistare uno degli appartamenti o delle villette a schiera che conteneva perché, secondo la testimonianza di alcuni agenti immobiliari dell’epoca, i locali avevano un che di “sovietico”.
L’edificio era ben visibile anche passando sulla Bassanese e, posto ai piedi della collina come Villa Rinaldi, a meno di mezzo chilometro da lì, rappresentava un indiscutibile “pugno nell’occhio”.
Dagli archivi dell’ufficio urbanistica si deduce che il progetto dell’architetto Ruscica, il quale era anche l’autore del Piano di Fabbricazione di Maser, aveva dato alla luce un edificio che già meno di un decennio più tardi era in pieno degrado: fu un potenziale acquirente a chiedere l’approfondimento edilizio che svelò una deformità pari al 50% di cubatura del tutto abusiva.
Nonostante la denuncia della precedente amministrazione al TAR, il problema del “mostro” fu ereditato dalla nuova giunta del sindaco Gian Francesco Pandolfo, il marito dell’attuale sindaco Claudia Benedos: “Si diceva che Maser avesse la villa palladiana più bella – dichiara l’ex sindaco – e al contempo l’edificio più brutto del Veneto”.
Dalle fotografie gentilmente concesse da una delle famiglie testimoni di questa triste storia immobiliare, è possibile riconoscere degli edifici che sembrano usciti da un film distopico: strutture che ricordano alcuni complessi presenti a Montebelluna in località Mercato Vecchio, anch’essi caratterizzati da una storia immobiliare piuttosto drammatica e un’ampia svalutazione temporale.
In pochi mesi, infatti, quello che doveva essere un villaggio di pregio divenne luogo d’incontro per spacciatori, tossicodipendenti ed extracomunitari abusivi (questo sempre secondo i vicini). Alcuni cittadini ricordano di una fabbrica, che per qualche tempo stabilì al piano terra il proprio centro produttivo, ma è opinione comune che il fallimento dell’operazione immobiliare divenne fin da subito evidente.
L’occhio della comunità non si abituò mai, per 26 anni, a quello scombinato ammasso di porte, scale e finestre. Eppure l’“Edificio della vergogna”, questo il riferimento di un articolo scritto dal giornalista Luciano Beltramini nel luglio 1997, rimase in piedi per ben 26 anni, prima che coraggiosamente la Sovrintendenza e i Beni ambientali approvassero nel ’94 un nuovo progetto firmato da una cordata di imprenditori, da Giorgio Pellizzari, Marino e Luciano Piccolotto e Miro Cremasco un nuovo progetto che questa volta avrebbe rispettato le regole del paesaggio: solo legno e pietra per un villaggio che si sarebbe finalmente meritato il bel nome di “Ciclamino”.
Durante la demolizione, portata avanti dall’impresa di Giorgio Pellizzari, venne constatato in modo ancora più evidente quanto l’immobile fosse costruito con criteri molto particolari, anche per quanto riguarda le fognature e l’impiantistica: per questo il nuovo complesso fu ricostruito praticamente dal grado zero.
Oggi il Villaggio dei Ciclamini è ritenuto un residence di discreto pregio, dove le villette a schiera e gli appartamenti non restano certo invenduti e sono apprezzati dal vicinato: la tranquillità del luogo, la comodità al centro di Crespignaga, al supermercato Crai e alle più belle passeggiate sui colli asolani rappresentano un valore intrinseco a questo edificio.
(Fonte: Luca Vecellio © Qdpnews.it).
(Foto: per gentile concessione di un lettore).
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