Tragedia di via Schiratti, la Diocesi di Vittorio Veneto: “Episodio da condannare, non da strumentalizzare. Nessuna alternativa al dialogo e all’integrazione”

La Diocesi di Vittorio Veneto prende posizione sull’episodio costato la vita ad Adriano Armelin, l’83enne residente in via Schiratti a Pieve di Soligo morto dopo essere stato selvaggiamente picchiato venerdì sera nella propria abitazione (nella foto, alcuni dei fiori depositati sull’uscio): fatti per i quali è finito in carcere il 36enne marocchino Mohamed Boumarouan. La vicenda ha scosso molte coscienze, e tra i primi a esprimere sofferenza e sconcerto per l’accaduto c’è stato l’arciprete di Pieve di Soligo monsignor Giuseppe Nadal.

Don Alessio Magoga, responsabile dell’ufficio stampa della Diocesi vittoriese e direttore del settimanale L’Azione, scrive: “La barbara uccisione di Adriano Armelin, a Pieve di Soligo, lascia un profondo senso di smarrimento e di dolore. Insieme, suscita la più sincera vicinanza e solidarietà nei confronti dei suoi familiari, che si sono visti strappare il proprio caro in modo così efferato. Quanto è accaduto addolora ancora di più dal momento che la vittima era una persona mite e stimata, benvoluta dai tanti che lo conoscevano sia nella comunità civile sia in quella cristiana: per lui si è pregato e si continuerà a pregare, in modo particolare, in questi giorni. Tutti ora si attendono che il responsabile, un cittadino di origine marocchina, sia messo in condizione di non nuocere più a nessuno e che la giustizia faccia il suo corso, fino in fondo. Anche se tutto questo, purtroppo, non riporterà in vita Adriano, né lo consegnerà nuovamente ai propri familiari.

Alla luce di quanto accaduto, ribadendo ancora una volta la più grande vicinanza e solidarietà alla famiglia Armelin, si possono fare – tra le tante – almeno tre considerazioni. La prima riguarda la città di Pieve di Soligo, che è uno dei Comuni dove la presenza di cittadini stranieri è tra le più consistenti della provincia di Treviso (e della diocesi di Vittorio Veneto). In questo contesto, la comunità marocchina è presente in modo importante, anche se non è il gruppo di stranieri più numeroso: al primo posto si collocano i bengalesi e i macedoni. Bisogna dare atto che l’amministrazione comunale – ben consapevole di questa presenza – ha avviato già da tempo politiche volte a favorire i processi di integrazione. Tra le molteplici iniziative ne ricordo due, che possono essere intese come una cartina tornasole della sensibilità dell’amministrazione e che non sembrano avere dei paralleli in altri Comuni della diocesi. Si tratta di due convegni in cui mussulmani e cristiani hanno dialogato su alcuni aspetti che le due fedi hanno in comune: il convegno del 2019 si è concentrato sulla figura di Maria, la madre di Gesù, mentre quello del 2021 ha posto al centro il tema della salvezza. I due incontri sono stati sostenuti fortemente dal Comune, in sinergia con altre realtà ed associazioni del territorio: due “segni” per incoraggiare il processo di integrazione, che si attua grazie al dialogo e alla conoscenza reciproca e, ovviamente, anche attraverso l’impegno a far conoscere e rispettare le leggi di un territorio”.

In secondo luogo, prosegue don Magoga, “l’episodio tragicamente accaduto in questi giorni non deve mettere a repentaglio il lavoro fatto sino ad ora in vista dell’integrazione, né renderci ostaggio della paura e della diffidenza. Non vanno certo minimizzate le fatiche e le difficoltà del percorso di integrazione: la presenza di culture diverse è, sì, una ricchezza ma è anche una sfida complessa, che mette a confronto – non in teoria ma nella concretezza della vita di tutti i giorni – visioni diverse della realtà e, soprattutto, concreti stili di vita, spesso molto diversi l’uno dall’altro. Tutto questo non è facile, certo, ma non vi è alternativa al dialogo e all’integrazione. Alla comunità civile è chiesto pertanto di vigilare perché questo episodio – certamente grave e da condannare nel modo più assoluto – non presti il fianco ad essere strumentalizzato per rinnegare il percorso di integrazione intrapreso. E, dall’altro, alle comunità straniere (in questo caso alla comunità marocchina) è domandato di intervenire in modo fermo per prendere le distanze dall’accaduto (come è già stato fatto) e per ribadire l’impegno a promuovere il cammino di integrazione e il rispetto dei valori e delle leggi della società che li ha accolti e che li ospita.

Infine, un’ultima considerazione è suggerita dalle peculiarità del drammatico caso che – stando alle prime rilevazioni – sembra sia stato commesso da una persona con evidenti segni di disagio. Il fatto riporta alla mente un altro triste episodio, accaduto sempre nel Quartier del Piave nel giugno scorso: l’omicidio di una giovane donna. I due fatti chiedono a tutti – cittadini italiani e cittadini di origine straniera – di essere sempre più attenti alle situazioni di disagio, per saperle riconoscere in tempo prima che degenerino in azioni sconsiderate. Tale attenzione però non può essere appannaggio solo dell’amministrazione comunale, ma dell’intera collettività, nelle sue diverse componenti, sia autoctone sia di origine straniera. Per il bene di tutti c’è bisogno di più comunità e di reti relazionali più prossime e più solidali: forse è proprio questa la principale sfida cui tutti siamo chiamati e che si può affrontare a partire dall’umano, il terreno – questo sì – davvero comune ed universale”.

(Foto: archivio Qdpnews.it)
#Qdpnews.it

Total
0
Shares
Articoli correlati