Trafitto al torace da un’aguglia: la vacanza choc in Indonesia di Alberto Marcon

Alberto Marcon

Una brutta disavventura che, fortunatamente, ha avuto un lieto fine: potrebbe essere sintetizzata in questo modo la vicenda che ha visto coinvolto Alberto Marcon, 34enne originario di Bagnolo (frazione del Comune di San Pietro di Feletto), residente in Sardegna.

Lo scorso 6 dicembre il giovane si trovava in Indonesia, sulla costa orientale dell’isola di Sumbawa, non lontano da Bali, intento a fare surf quando, all’improvviso, ha avuto un incontro ravvicinato con un’aguglia, un pesce molto diffuso  in quei mari, con il becco corneo della lunghezza pari a 10-12 centimetri. 

Proprio con questo becco il pesce ha letteralmente “pugnalato” il 34enne al torace, provocandogli un’emorragia interna e il collasso di un polmone. Da lì una vera e propria odissea, tra ben tre ospedali indonesiani, prima dell’operazione e del ricovero.

“Non era la prima volta che andavo in Indonesia a fare surf: lavorando in estate, in inverno ho tempo di farlo – ha raccontato – Erano le 7 del mattino del 6 dicembre quando, assieme a un amico, siamo entrati in acqua: c’eravamo solo noi. Stavo remando con la tavola da surf e, ormai, eravamo al largo quando, ad un certo punto, dall’acqua è spuntata fuori un’aguglia e me la sono trovata in faccia”.

“D’istinto ho alzato il braccio per proteggermi il viso e il pesce mi ha infilzato sotto all’ascella:si è dimenato, è uscito da solo e se n’è andato – ha proseguito – Mi sono seduto sulla tavola da surf e ho visto un buco sotto all’ascella, da cui usciva dell’aria. Grazie al mio amico, che mi ha aiutato, sono tornato a riva, tenendo il braccio il più chiuso possibile e remando con l’altro”.

“Ricordo che sono salito sullo scooter per tornare a casa il più presto possibile: a metà viaggio mi veniva da svenire – ha aggiunto – Ho quindi avvisato dell’accaduto Justin, un australiano che gestiva il mio alloggio, il quale mi ha portato in ospedale. In realtà si trattava di un ospedaletto, dove mi hanno detto che lì non potevano fare nulla, a parte mettere i punti sulla ferita”.

L’odissea tra gli ospedali indonesiani

“Sono stato trasportato in ambulanza in un altro ospedale, che distava un’ora di strada: lì i medici mi hanno detto che avevo un polmone danneggiato e che potevano solo farmi un drenaggio (ma non mi sono sembrati molto esperti in questo), prima di essere poi trasportato in un terzo ospedale, collocato sull’isola di Lombok, dove sarei stato sottoposto a un’operazione – ha raccontato – In questo secondo ospedale si è verificato un ulteriore problema: i medici non parlavano inglese. Quindi, solo grazie a Justin che conosceva l’indonesiano e ha tradotto ciò che dicevano, è stato possibile comunicare”.

Oltre al polmone collassato, Alberto Marcon presentava una seria emorragia interna, motivo per cui è stato attaccato a un macchinario in attesa dell’ambulanza per l’ultimo trasferimento. Trasferimento che è stato tutt’altro che semplice.

“Posso dire che è stato un vero e proprio viaggio della speranza, durato sette ore, con tanto di imbarco dell’ambulanza su un traghetto, tra i camion con il motore acceso – ha spiegato – Sono arrivato all’ospedale nella capitale dell’isola di Lombok: a differenza degli altri due, che erano pubblici, si trattava di una clinica privata. Lì mi hanno fatto una tac, a seguito della quale mi hanno detto che nel mio torace era presente un litro di sangue, quindi mi hanno nuovamente attaccato al macchinario per il drenaggio. Nel frattempo, mi ha raggiunto la mia ragazza, che si trovava a Bali”.

In quel momento, oltre al problema di salute, se n’era presentato un altro: quello legato all’assicurazione sanitaria, considerato che all’estero esiste un sistema sanitario totalmente differente da quello italiano.

“Per fortuna avevo l’assicurazione sanitaria, ma l’unica questione era quella di capire se poteva anticipare il pagamento del preventivo, che ammontava a 12 mila euro. In tutto sono rimasto ricoverato in quella clinica per 10 giorni, per una cifra complessiva pari a 20 mila euro – ha spiegato – I contatti tra l’assicurazione e l’ospedale, per accordarsi su questo aspetto, si sono protratti per circa 5-6 ore, durante le quali mi hanno tenuto in corridoio. Solamente quando è stato organizzato il pagamento, è stato possibile avere una stanza. Poi sono stato operato: mi hanno ripulito il torace e cucito il polmone. Ho fatto 2-3 giorni in terapia intensiva, successivamente sono rimasto ricoverato fino a quando ho ripreso a mangiare e a camminare. Alla fine mi hanno dimesso. Sono rimasto nei paraggi per una settimana, per i controlli, poi mi hanno dato l’ok per viaggiare in aereo”.

La fine di un incubo e il rientro in Italia

Il 21 dicembre per Alberto Marcon è finalmente arrivato il volo verso casa a Bagnolo, dove il 34enne aveva già programmato di passare le festività assieme a genitori e parenti. Successivamente, una volta arrivato in Italia, il giovane si è sottoposto a dei controlli e a delle visite da un pneumologo, che proseguiranno fino a febbraio, prima di rientrare in Sardegna.

“Quando mi trovavo nel secondo ospedale ho realizzato che la cosa era grave e, per di più, mi trovavo in un luogo sperduto: lì ho avuto paura – ha ammesso – Già quando stai male ti sembra che i tempi si allunghino ma, per fortuna, non mi sono fatto prendere dal panico: ho capito che sono una persona che riesce a mantenere il sangue freddo in determinate situazioni”.

Ora sto recuperando, anche se mi dà ancora fastidio respirare a fondo. Non pensavo che un pesce potesse fare così tanti danni e, anche in Italia, i medici mi hanno detto che ho rischiato moltissimo, dato che è stato colpito un punto vicino al cuore – ha raccontato – La passione per il surf non è comunque passata e tornerò il prima possibile a farlo”.

“Consiglio solo, a chi voglia andare in determinati posti, di fare sempre l’assicurazione sanitaria, anche se si sta via solo per una settimana, e di contattare l’assicurazione stessa prima del viaggio per capire se, in caso di necessità, possa anticipare i soldi per le cure: una delle difficoltà è stata propria quella di parlare con il call center dell’assicurazione – ha spiegato -. Consiglio inoltre di salvarsi la polizza e il suo numero sul telefono, perché è la prima cosa che ti chiedono in ospedale”.

“Io sono stato fortunato, grazie all’amico che mi ha aiutato a uscire dall’acqua, poi a Justine e alla mia ragazza, per l’aiuto con la burocrazia e il supporto psicologico durante il ricovero”, ha concluso.

(Foto: per gentile concessione di Alberto Marcon).
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