Coldiretti lancia un appello ai consumatori trevigiani: “Controllate la black list dei cibi più pericolosi, in Italia un allarme al giorno”

“Un appello ai consumatori trevigiani! Leggere l’etichetta è fondamentale. In Italia è scattato quasi un allarme alimentare al giorno con ben 297 notifiche inviate all’Unione Europea durante il 2020, delle quali solo 56 (19%) hanno riguardato prodotti con origine nazionale, mentre 160 provenivano da altri Stati dell’Unione Europea (54%) e 81 da Paesi extracomunitari (27%)”.

Questo l’appello di Giuseppe Satalino, direttore di Coldiretti Treviso che commenta il dossier Coldiretti su “La black list dei cibi più pericolosi” presentato al XIX Forum Internazionale dell’Agricoltura e dell’alimentazione sulla base delle rilevazioni dell’ultimo rapporto del Sistema di allerta rapido europeo (RASFF), che registra gli allarmi per rischi alimentari verificati a causa di residui chimici, micotossine, metalli pesanti, inquinanti microbiologici, diossine o additivi e coloranti nell’Unione Europea nel 2020.

In Italia – sottolinea Satalino – oltre otto allarmi alimentari su dieci sono dunque scattati a causa di cibi pericolosi provenienti dall’estero (81%). Occorre garantire che le importazioni di prodotti da Paesi terzi rispettino gli stessi standard sociali, sanitari e ambientali delle produzioni italiane ed europee” afferma il presidente di Coldiretti Ettore Prandini nel sottolineare l’importanza che l’Ue assicuri il principio di reciprocità nei rapporti commerciali”.

Dai semi di sesamo dell’India di moda per le insalatone salutiste alla carne di pollo low cost dalla Polonia, dalla frutta e verdura turca al pepe nero brasiliano salgono sul podio della “black list” dei prodotti alimentari più pericolosi per la salute rilevati nella Ue, nella quale rientrano anche le arachidi da Usa e Argentina, i pistacchi turchi ed iraniani e le ostriche francesi, secondo le elaborazioni Coldiretti su dati Rassf.

In generale in testa alla classifica dei Paesi dai quali giungono i cibi più contaminati ci sono l’India, responsabile del 12% degli allarmi alimentari scattati in Europa, la Turchia con il 10% e la Polonia (10%) ma preoccupazioni arrivano anche dalla Francia (6%), dall’Olanda (6%) e dalla Cina (6%).

“Un’emergenza quindi che – sottolinea Coldiretti – non riguarda solo i Paesi in via di sviluppo ma che, per effetto della globalizzazione degli scambi e della competizione al ribasso sui prezzi, si estende anche a quelli più ricchi. I pericoli maggiori sono venuti dai semi di sesamo dell’India, molto di moda nelle insalate salutistiche, a causa della presenza di ossido di etilene, e dalla carne di pollo polacca con la salmonella, ma sul podio del rischio c’è anche la frutta e verdura importata dalla Turchia per la presenza di residui di pesticidi“.

Nella black list alimentare ci sono poi il pepe nero brasiliano a rischio salmonella, i fichi secchi dalla Turchia per l’elevato contenuto in aflatossine cancerogene come pure le arachidi da Usa e Argentina, i pistacchi turchi e iraniani mentre nelle ostriche francesi sono state individuate contaminazioni da norovirus responsabili di gastroenteriti.

Non si tratta peraltro di quantità trascurabili, con l’Italia che ha importato 7 milioni di euro di semi di sesamo dall’India nel 2020 per un totale di quasi 5 milioni di chili, mentre dalla Polonia sono arrivati ben 14 milioni di chili di carne di pollo per un importo di oltre 20 milioni di euro e l’importazione di frutta e verdura dalla Turchia ha raggiunto addirittura 416 milioni di euro, secondo l’analisi della Coldiretti su dati Istat.

Non sorprende dunque che l’87% degli italiani voglia il divieto di ingresso nei mercati nazionali dei prodotti provenienti da Paesi privi di regole sociali, di sicurezza e sanitarie analoghe a quelle italiane e della Ue, secondo l’analisi Coldiretti/Censis.

Secondo la stragrande maggioranza dei cittadini è inutile imporre alle imprese italiane leggi sempre più severe se poi si consente ad imprese spregiudicate o a interi settori produttivi di altri Paesi senza legislazioni analoghe di invadere il mercato italiano con prezzi stracciati, magari sfruttando il ricorso a lavoro semischiavistico o minorile o, anche, a produzioni senza rispetto dei criteri di sostenibilità ambientale.

(Foto: Archivio Qdpnews.it).
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