Laura Ephrikian, attrice di teatro, cinema e televisione, è tornata nella sua amata Treviso, la città in cui è nata il 14 giugno 1940, per raccontare le “radici” della sua famiglia di stirpe armena che, all’inizio del 1900, ha intrecciato la propria discendenza con quella dei conti Altan di Serravalle.
Il viaggio nella memoria dell’ex moglie di Gianni Morandi – da cui ha avuto i figli Marianna e Marco – è dettagliamene narrato nel libro “Laura Ephrikian. Una famiglia armena” (Sce: Spazio cultura edizioni), presentato nei giorni scorsi a Palazzo Rinaldi di Treviso, con il patrocinio dell’assessorato comunale alla cultura.
Una storia familiare che sa proprio di romanzo, a cominciare dalla vicenda artistica del padre dell’autrice, il maestro Angelo Ephrikian (Treviso, 20 ottobre 1913 – Roma, 30 ottobre 1982). Laureato in giurisprudenza a Padova, iniziò la carriera di magistrato e poi seguì la tipografia avviata a Treviso dal padre Akop, nativo dell’Armenia. Nel contempo coltivò sempre lo studio del violino con determinazione e talento, diventando un direttore d’orchestra di fama internazionale e grande interprete della musica barocca.
Al maestro Ephrikian si deve la riscoperta in era moderna delle opere di Antonio Vivaldi e di altri compositori della sua epoca. Anche i due figli, nati dall’unione con la milanese Bruna Grossi, hanno sviluppato l’amore per l’arte e la musica: Laura, lasciato il Liceo classico Canova di Treviso, nel 1957 si iscrisse all’Accademia di arte drammatica di Milano ed è diventata una delle attrici più note degli anni ’60; il secondogenito Gianclaudio “Gianni” è un noto direttore d’orchestra e compositore.
Angelo Ephrikian era l’unico figlio di Akop e Laura, storia d’amore al centro del racconto autobiografico della nipote, che ha ricostruito le vicende di una famiglia un po’ anomala: “Che è poi la mia storia, quella di una bambina timida e curiosa nata durante la guerra. I miei primi ricordi sono una casa di campagna e una frase che imparai subito a riconoscere: “Arrivano i tedeschi!”.
A queste parole la famiglia si sparpagliava. Mamma via in bicicletta, papà andava con Raul, capo partigiano, per raggiungere i compagni combattenti. Io e il nonno restavamo ad aspettare che tornassero”. La casa era quella di Fregona, dove gli Ephrikian si trasferirono, lasciando l’abitazione nel quartiere Fiera di Treviso, quando Angelo decise di unirsi ai partigiani che agivano nel Cansiglio. Ma i luoghi dell’infanzia e adolescenza dell’autrice sono anche l’ottocentesca villa di Anzano, dimora degli zii Marì e Alberto, il palazzetto liberty di Vittorio Veneto e il casale nelle colline di Ogliano di proprietà del cugino Vittorio Della Porta, che fu il primo sindaco socialista vittoriese dopo la guerra.
Il casato degli Ephrikian (tra i trisavoli c’è anche un pascià) all’inizio del Novecento si è intrecciato con quello dei conti di origine sveva Althann e poi Altan, che in seguito all’avanzata napoleonica lasciarono l’Austria per scendere a Venezia. Nel 1820 il conte Alberto, consigliere di Serravalle, si sposò con la prima Laura dell’albero genealogico familiare e ne ebbe sette figli: Alvise, Arpalice, Marina, Melania, Albertina, Ildeconda e Vespasiano. E’ Albertina che intesse la propria sorte con la famiglia armena. Nonostante l’opposizione del nobile padre, nel settembre del 1868 la contessina Altan andò in moglie a Giuliano Zasso, pittore di buona fama (suoi dipinti si trovano ancora in molte chiese del Veneto) e direttore dall’Accademia delle Belle Arti di Venezia. Dalla loro unione nacquero cinque figli: Ida, che sposerà l’ingegnere Angelo Della Porta, Clementina, coniugata con Lorenzo Rossi, Elen, Giuliano e Laura.
Laura Zasso, nata l’8 agosto 1880 dopo 20 anni di matrimonio, fu mandata a studiare nel collegio delle Zitelle di Venezia, che accoglieva orfane povere ma di buona famiglia. A 28 anni, nel giugno del 1908, si recò nell’isola di San Lazzaro per cercare notizie sulle opere del padre pittore. E’ così che conobbe il giovane prete Akop Ephrikian, scampato allo sterminio del popolo dell’Ararat ad opera dei turchi. Da questo fatale incontro scaturì una storia romantica e molto travagliata, ricostruita con le 66 lettere d’amore (ritrovate dalla nipote) che la giovane coppia si scambiò prima di unirsi in matrimonio e stabilirsi a Treviso.
Akop, nato il 10 novembre 1873, salvatosi dal rogo in cui perì la sua famiglia, aveva appena 10 anni quando fuggì dall’Armenia a bordo di un bastimento partito da Istanbul e diretto a Venezia. Il giovanissimo profugo dai piedi piagati trovò asilo tra i padri armeni dell’isola di San Lazzaro. Frequentò il seminario, divenne monaco mechitarista (ordine religioso cattolico) con il nome di Padre Soukias e fu nominato direttore della tipografia del monastero, che stampava testi di grande valore culturale. Lasciò tutto, tonaca e direzione della tipografia, quando si innamorò di Laura Zasso, la sposò e ne ebbe l’unico figlio Angelo.
L’attrice non ha mai conosciuto la nonna paterna, ma nella sua prima infanzia è stata accanto a nonno Akop: “Mi chiamava affettuosamente Gaianè, però non mi parlava mai della sua terra lontana. La curiosità sulle sue origini armene mi ha sempre assillato, finché da un vecchio baule celato nel sottoscala di casa ho trovato le 66 lettere, abiti e ricami della nonna, oltre a vari documenti sulle nostre famiglie”.
Nel 2017 Laura Ephrikian è tornata nella terra degli avi. A Erivan ha visitato il mausoleo dei martiri armeni e la mostra delle immagini del genocidio. Ne ha riportato un’impressione fortissima, per le atrocità patite dai compatrioti di Akop. Tanto da sentire la necessità di raccontare in questo libro cosa è accaduto nei secoli al popolo cristiano dell’Ararat, “che i turchi avevano deciso di far sparire”, e che è ancora minacciato dalle mire degli Azeri fiancheggiati dai terroristi finanzianti da Erdogan.
Nella prima autobiografia familiare edita dieci anni fa, “Come l’olmo e l’edera” (presentata al Teatro Da Ponte di Serravalle), Laura si firmava con il cognome d’arte che le suggerì Vittorio De Sica, Efrikian e non Ephrikian. In questo terzo libro (il secondo si intitola “Incontri”) ha ripristinato il “ph”, per ribadire l’origine armena e ripercorrere il film di un’esistenza vissuta pienamente, tra grande felicità e giorni di dolore (la morte dell’amato padre e la fine del matrimonio con Gianni Morandi), i trascorsi successi artistici, la passione per la pittura e la decorazione d’interni. Il presente è ricco di attenzione verso chi ha bisogno. Due mesi all’anno l’attrice lascia Roma, dove vive stabilmente, per recarsi in Kenia ad adoperarsi a favore dei bambini dei villaggi più isolati, a cui assicura istruzione, cibo, acqua e cure sanitarie.
Ma prima di tutto c’è la Laura nonna innamoratissima dei cinque nipoti, i figli di Marianna e Marco. Il libro lo ha scritto pensando prima di tutto a loro, come ulteriore gesto d’amore: “Non voglio andarmene senza lasciare su questa terra una mia pur fragile testimonianza. Voglio che i frammenti del mio romanzo familiare si leghino ai ricordi più recenti. Voglio che i morti non siano morti per sempre. Voglio che i miei nipoti mi conoscano per davvero e che, per mio tramite, sappiano di più su loro stessi e sull’albero che ha dato vita ai loro rami e senza il quale essi non sarebbero mai nati”.
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