Le “lavandere” trevigiane, lo scorcio sul canale dei Buranelli dove riscoprire la storia di queste infaticabili donne

Giusto dietro il palazzo del Municipio, il canale dei Buranelli scorre placidamente sotto Ponte Rinaldi regalando uno degli scorci più romantici del centro. Ma al di là del suo aspetto pittoresco, questo angolo di Treviso vale una sosta per riscoprire l’antico mestiere delle “lavandere”

Come si deduce da una grande foto storica affissa al muro sulla destra, proprio alla fine della scalinata che digrada verso il canale, un tempo avremmo potuto osservare un bel gruppetto di lavandaie al lavoro. Almeno fino agli anni Cinquanta, e dunque prima della diffusione della lavatrice in Italia, a Treviso i panni si lavano nelle acque gelide dei canali. Chi poteva permetterselo, come le famiglie più abbienti, consegna la biancheria a queste instancabili lavoratrici che munite di lampor e secchi di lìsia passavano intere giornate in ginocchio strofinando e sciacquando i panni. 

Il lampor era una lunga tavola di legno inclinata, che poteva essere liscia o zigrinata, solitamente dotata di uno scalino dove poggiare le ginocchia. La biancheria, una volta sul piano di lavoro, veniva strofinata più e più volte con la lisciva (lìsia in dialetto), un prodotto casalingo antesignano del moderno detersivo. 

La lisciva veniva fabbricata in casa mescolando la cenere della stufa con acqua bollente. Una volta filtrato, dal composto si otteneva un detergente naturale dalle grandi proprietà smacchianti tanto che oggi, fra i puristi dei prodotti ecosostenibili, c’è chi lo sta riscoprendo. Gli abiti e le lenzuola lavati per bene, venivano poi stesi al sole nelle aree verdi che costeggiavano i canali sprigionando un profumo che, a dire di chi se lo ricorda, era gradevolissimo. Per non parlare poi del bianco candido della biancheria. 

Il mestiere della “lavandera”, che solitamente si tramandava da madre in figlia, non contemplava giorni di riposo. Né il caldo implacabile di agosto, né il freddo impietoso dell’inverno fermava queste lavoratici che nelle mani, rotte dalle piaghe, portavano i segni della fatica. 

Intonare canzoni popolari e scambiare qualche parola con i barcaioli di passaggio, erano piccole parentesi di allegria, che aiutavano a tirare fino a sera. Ciò che colpisce osservando le cartoline d’epoca che ritraggono le “lavandere” trevigiane (quelle che vi proponiamo sono recuperate dall’archivio del collezionista Augusto Gallonetto) è proprio l’aspetto fiero di queste donne e la dignità con cui affrontavano la fatica quotidiana. Ma al di là di queste considerazioni, rimane che queste cartoline in bianco e nero, evocano tutto il fascino di quell’antico mestiere e di un’epoca lontana di cui non resta che custodire il ricordo. 

(Foto: Augusto Gallonetto – Qdpnews.it).
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