Caterina Arrigoni e la Grande Guerra, quando il diario diventa prezioso materiale storico

Caterina Arrigoni e la Piazza Maggiore di Valdobbiadene nel 5 novembre del 1918 (Fonte: FAST)

Caterina Arrigoni nasce a Valdobbiadene il 24 giugno del 1882 da Renato e Marianna Lucheschi.

Il padre, notaio, di illustre e antico lignaggio, è un personaggio di spicco nella vita politica e sociale.

Ai tempi dell’invasione ricopre un fondamentale ruolo di collegamento tra la comunità locale e i comandi militari austroungarici.

Caterina, che dall’ottobre del 1917 ha 35 anni, diventa testimone di una triste pagina di storia, quella che la vede anche protagonista nei panni di una profuga.

Il giuramento del 56esimo Fanteria prima della partenza per il fronte, 1915-1918 (foto: Adriano Favaro – FAST)

Nei quasi 700 fogli del suo diario documenta le vicende della guerra e le pene di un’intera collettività in disfacimento.

Caterina, nei suoi scritti, racconta i tragici fatti accaduti nell’ultimo scorcio della Grande Guerra, intersecando lo sgomento e la sofferenza dei civili con il resoconto cronachistico delle operazioni militari: dall’arretramento del fronte sulla linea del Piave all’invasione dell’esercito nemico, dalla trasmigrazione di uomini e salmerie da una trincea all’altra, fino all’agognata cessazione delle ostilità.

Piazza Marconi nel 1918

Nell’autunno del 1917 a Valdobbiadene la precaria convivenza con i soldati austroungarici diventa sempre più difficile: fame, freddo, malattie e violenze sconvolgono la vita quotidiana.

A Caterina non sfuggono i tormenti dei più poveri, né le angherie che sono costretti a subire da quelli che definisce “invasori barbari”, tra questi non mancano tuttavia quelli che sanno dimostrare pietà e che sono disposti a condividere il loro scarso cibo.

Ed è proprio la fame l’incubo peggiore, anche per i valdobbiadenesi.

Il profugato

Inizia così la penosa esperienza del profugato. Caterina, lasciate casa e averi, si trasferisce nella frazione vittoriese di Cozzuolo, dov’è testimone degli avvenimenti e dei sentimenti dei profughi, malvisti ovunque “pare che ci facciano una colpa di aver abbandonato il paese”, nonché delle ridicole accuse loro rivolte, essendo considerati la causa dell’aumento del prezzo dei beni alimentari: “Oh – scrive – se si mettessero nei nostri panni, comprenderebbero quanto siamo disgraziati”.

Caterina racconta le umiliazioni e la disperazione della popolazione civile, di coloro che la guerra la combattono in una prima linea parallela a quella del fuoco: “Per mangiare si andava a carità. Bisognava camminare. Non si aveva niente ai piedi, chi aveva uno straccio di ciabatta o uno zoccoletto di legno, ma scarpe nessuno le aveva. Passando per i campi si raccoglievano i radicchi matti e, Dio ce ne liberi, quanti ne abbiamo mangiati. Non lontano di qui una madre, ridotta alla disperazione, freddamente gettò nel fiume le sue quattro creaturine, poi le raggiunse”.

Giorno per giorno, talvolta ora per ora, la donna annota e fissa sulla carta il disagio e il coraggio, i timori e le speranze dei profughi, infine, il loro sollievo e la gioia per la vittoria.

Ne risulterà un affresco unico e prezioso.

Caterina Arrigoni per quasi 50 anni rielaborerà il suo diario nell’intento di salvare dall’oblio il dramma del profugato. Una guerra, quella per la sopravvivenza, nella guerra.

Proprio per le circostanze in cui vennero scritte, queste pagine finirono per assumere, ben più di quanto sarebbe potuto accadere con un testo elaborato a posteriori, un grande valore documentale e di testimonianza intima e individuale. Caterina muore a Belluno il 2 luglio 1971.

Il diario di Caterina Arrigoni è stato riscoperto nella sua versione integrale dagli storici Luca Nardi e Giancarlo Follador, ed è stato pubblicato nel 2016 con il sostegno di Regione Veneto e Comune di Valdobbiadene.

(Foto: Terra e Genio – FAST – Foto Archivio Storico Trevigiano della Provincia di Treviso).
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