Il botanico Renato Pampanini: una vita a contatto con la natura

Renato Pampanini e uno scorcio del territorio valdobbiadenese (fonte foto: Biblioteca Orto Botanico di Padova – Terra e Genio)

Docente e ricercatore, uomo umile, botanico di fama mondiale: Renato Pampanini è stato tra i primi in Italia a occuparsi dei problemi relativi alla salvaguardia delle specie arboree ed erbacee, sviluppando il concetto di “monumento naturale.

I suoi scritti sono stati scia e solco per quanti, più avanti, si sono occupati di floristica e faunistica. Renato nasce a Valdobbiadene il 20 ottobre 1875.

Ricchi possidenti, i Pampanini, originari di Chiapuzza, una frazione di San Vito di Cadore, prendono parte alla rivolta antiaustriaca del 1848. Dopo la capitolazione di Venezia, probabilmente per prendere le distanze dall’esposizione politica, i genitori di Renato emigrano nella Marca trevigiana, a Cozzuolo di Vittorio Veneto, dove Renato trascorre l’infanzia.

Fin da bambino dimostra uno spiccato interesse per arbusti e fiori, frequenta ancora le scuole elementari quando inizia a raccogliere ogni sorte di erbe spontanee e piante, comprese quelle acquatiche, durante le gite ai laghi di Revine, arrivando a descrivere in maniera dettagliata le più rare, dimostrando una grande passione per le scienze naturali.

Subisce anche l’influenza del celebre micologo e botanico trevigiano, amico di famiglia, Pier Andrea Saccardo.

Si iscrive poi al ginnasio al Collegio Vescovile di Ceneda, ma successivamente viene mandato a terminare gli studi in un istituto di Friburgo (in Germania).

Poi va in Svizzera dove frequenta l’Università di Losanna, nella facoltà di scienze naturali, laureandosi con una tesi in fitogeografia, intitolata “Geografia botanica delle Alpi”, che gli vale la medaglia d’oro della Société de Géographie de Genève.

Subito dopo la laurea Renato trova impiego come assistente all’Istituto di Botanica di Firenze, ottenendo in seguito la libera docenza e quindi diventandone direttore.

Successivamente entra a far parte del Consiglio direttivo della Società Botanica italiana, e lancia un primo e forte appello volto alla protezione della flora, presentando delle proposte concrete nell’assemblea del 1911 a Roma. Il testo della sua prolusione viene pubblicato integralmente sia sul Bollettino societario sia come volumetto, con la prefazione di Giovanni Rosaldi, parlamentare impegnato nella formazione di una legge per la difesa del paesaggio e unanimemente considerato il precursore dell’ambientalismo nazionale.

Nel “Per la protezione della flora italiana”, Renato Pampanini esamina la situazione in Europa, negli Stati Uniti e le misure protezionistiche in Svizzera, Austria, Francia e Germania, sottolineando le lacune italiane, riportando le principali cause della distruzione della nostra flora, che vanno dalla selvaggia raccolta dei fiori spontanei, tra cui la stella alpina, all’utilizzo indiscriminato di erbe per la produzione di liquori e medicinali, fino alle specie raccolte a scopo collezionistico.

Pampanini chiama le specie minacciate “piante perseguitate”.

Allargando il campo d’azione, pubblica il fascicolo “Per la protezione dei monumenti naturali italiani”, in cui propone la costituzione di un comitato per la difesa della vegetazione che dovrebbe operare in Italia attraverso una “attiva campagna in ambito scientifico, l’ottenimento di parchi nazionali e provvedimenti legislativi atti a salvaguardare i monumenti naturali”.

La Grande Guerra

Allo scoppio della guerra Renato è da poco diventato padre. Vive a Firenze con la moglie Elena Duse, già sua allieva, di origine veneziana, la quale cerca invano di persuaderlo a non arruolarsi, suggerendogli di far valere l’età avanzata (40 anni), l’essere figlio unico e gli incarichi accademici.

Invece il ricordo dello zio Antonio che mezzo secolo prima s’era battuto contro gli austriaci, lo convince a prendere le armi.

Partecipa così a tutto il conflitto, spesso in prima linea, percorrendo il fronte da un punto all’altro e in varie stagioni.

Per Pampanini è l’occasione per scoprire curiosità botaniche, ma non solo, delle quali parlerà in diversi articoli, come “Lo stambecco“, in cui descrive la biologia e l’etologia dell’animale, allora abbastanza raro, nel quale si era imbattuto sulle montagne.

Fondamentale l’incontro con il Cadore e in particolare il ritorno a San Vito, paese natale del padre, dove consulta fra l’altro gli archivi comunali, trovando spunti per due corrispondenze sulla rivista “Universo: La frana del monte Antelao, secondo le memorie inedite del notaio G. Belli di Serdes e La ricomparsa del cervo in Cadore”.

Alla fine del 1918 viene mandato in missione militare nelle Isole Egee, visita Rodi e ne scrive un resoconto approfondito.

Fino al 1934 prenderà parte a numerose esplorazioni botaniche in Cirenaica e in altre zone dell’Africa settentrionale, fino alle isole del Dodecaneso.

Dalla Toscana alla Sardegna

Ripresi gli abiti borghesi, Renato Pampanini assume nuovamente la cattedra universitaria a Firenze. Viene nominato membro del Congresso Internazionale di Botanica di Cambridge nel 1930 e di Amsterdam poi, nel 1935.

Nel 1933 è titolare della cattedra di botanica a Cagliari, dove rimane fino alla fine della sua carriera, impegnandosi tra l’altro nella riorganizzazione dell’Orto Botanico, di cui sarà direttore fino al 1943. A conclusione della sua attività accademica torna a Vittorio Veneto, dove muore nel 1949.

L’erbario di Renato Pampanini, comprendente oltre 5.000 campioni, è conservato l’Erbario Centrale Italiano del Museo di storia naturale di Firenze.

(Foto: Terra e Genio – Biblioteca dell’Orto Botanico di Padova).
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