“Abbiamo condiviso con voi il nostro inferno”: Agnese Moro e l’ex brigatista Franco Bonisoli raccontano la loro giustizia riparativa

Da sinistra: Franco Bonisoli e Agnese Moro

I sogni infranti di vivere un rapporto con il padre e la convinzione di portare avanti un’ideologia per un mondo diverso, poi sfociata in una violenza profonda e irreparabile: sono questi i tratti emersi della vicenda esistenziale di Agnese Moro, figlia di Aldo Moro, politico sequestrato e ucciso dalle Brigate Rosse (BR) nel 1978, e di Franco Bonisoli, ex brigatista e uomo di spicco delle stesse BR, che larga parte ebbe in tutta la faccenda.

Due figure che è difficile immaginare sedute l’una accanto all’altra, per ovvi motivi, ma che ieri sera, al contrario, l’hanno fatto di fronte a una platea gremita nell’aula magna del seminario vescovile di Vittorio Veneto.

Sicuramente in sala c’era tanta curiosità di fronte a questo fatto, a un primo impatto così difficile da comprendere e, sicuramente, gli stessi relatori della serata erano consci che il loro racconto avrebbe suscitato molteplici interrogativi, sia storici che esistenziali.

Un incontro che si è incentrato sul tema della giustizia riparativa, un concetto non così diffuso, che consiste in un itinerario di possibile risoluzione dei conflitti, da intendersi come la rottura di relazioni, la causa di sofferenze e di disgregazione sociale. Non a caso il titolo dell’incontro (organizzato dalla Caritas di Vittorio Veneto, con il patrocinio del Comune) era “In-Giustizia. Riparare per ripartire”.

Presente all’iniziativa, preceduta al mattino da un incontro con le scuole (dove, insieme a Moro e Bonisoli, è intervenuto Lorenzo Sciacca, ex detenuto e presidente della cooperativa sociale La Ginestra), anche Anna Cattaneo, pedagogista, mediatrice e formatrice alla mediazione penale.

“C’è sempre possibilità di crescere e di cambiamento – le parole introduttive di don Andrea Forest – Bisogna pensare alla giustizia riparativa, e non solo a quella retributiva, che restituisce dignità”.

“Si è creata una grande sensibilità verso questo tema – ha affermato il vescovo di Vittorio Veneto Corrado Pizziolo – Di solito facciamo fatica a pensare ad altre forme di giustizia, oltre a quella punitiva e risarcitoria”.

“Col mio lavoro ho capito quanto l’uomo sia una creatura delicata: – il commento di Giuliana Gallopin, che lavora nell’Ufficio di esecuzione penale a Treviso – è delicato chi ha sbagliato e deve ricominciare, è delicata la vittima. Bisogna avere un grande rispetto per queste storie. In questi anni mi sono nutrita della capacità di cambiare delle persone”.

“Curare e ricucire anche una ferita pubblica: la giustizia riparativa lavora sulla relazione ferita dentro a un reato – ha affermato Anna Cattaneo – Sicuramente è un percorso molto faticoso, che richiede un gran coinvolgimento delle persone: non sono programmi scritti a tavolini”.

“Non ho mai avuto desiderio di vendetta”: le parole di Agnese Moro

Schietto il racconto di Agnese Moro la quale, senza tanti giri di parole, ha raccontato il vortice di emozioni che l’hanno accompagnata in tutti questi anni, dopo la perdita del padre e verso la scelta, non comprensibile da tutti, di avvicinarsi alla figura di Bonisoli.

“Ho avuto tutto dalla giustizia penale (sono stati individuati i responsabili e condannati), ma questa è l’illusione di poter stare meglio. Resti con un urlo interno – ha raccontato – Durante i procedimenti penali non hai mai la possibilità di incontrare i responsabili, di spiegare loro cosa ti hanno fatto e cosa ti hanno tolto”.

“Quell’urlo che ti rimane è fatto di tanti sentimenti: rancore, odio, disgusto e senso di colpa. Io ho il senso di colpa di non essere riuscita a portare a casa mio padre vivo – ha rivelato – Ho tre figli e ho sempre desiderato che nulla di quella storia li potesse toccare. Tutto questo si traduce in un grande silenzio ed è quel silenzio che la giustizia riparativa tenta di scovare”.

“Da soli non si può affrontare l’irreparabile: l’irreparabile ha bisogno di altri e di sapere che qualcuno è lì per ascoltare il tuo dolore. Io l’ho trovato nel 2009, quando ho conosciuto padre Guido: pensate, l’ho trovato dopo 31 anni da quello che era accaduto, prima nessuno si era mai interessato al mio dolore, perché sono dolori difficili – ha affermato – Per me la giustizia riparativa è qualcuno che mi venga a cercare. Mi è stata offerta la possibilità di conoscere persone che avevano partecipato alla lotta armata, tra cui chi era coinvolto nel caso di mio padre”.

Tra questi ultimi, il primo è stato proprio Franco Bonisoli, il quale è stato ricevuto in casa da Agnese Moro, presentandosi con una piantina in mano che, visto tutto il contesto, a posteriori ha assunto un carattere simbolico.

“Mi sono posta il problema di come accoglierlo. Gli ho chiesto della sua vita e di cosa avesse fatto dopo ed è emerso che chiedeva i permessi dal carcere per andare a parlare con i professori del figlio: questa cosa mi ha impressionato, perché significava che in quella persona, che ritenevo un mostro, era rimasta una parte di umanità che non andava perduta – ha raccontato – Lui ha fatto moltissimi anni di carcere e non mi deve nulla. Ha inoltre sfidato la sorte, andando da una persona che gli avrebbe potuto sputare in un occhio. L’incontro è stato un gesto di reciproca fiducia ed era importante per me, perché dovevo capire chi erano loro“.

“Per me ogni giorno mio padre viene rapito, la scorta viene ammazzata e mio padre viene ucciso. Si parla di giustizia riparativa, ma sicuramente mio padre non  tornerà. Quelle persone che sono state uccise non erano solo dei simboli o solo delle divise, ma degli uomini con delle persone che li amavano. Ho scoperto che io e Franco abbiamo una memoria diversa, ma possiamo sgombrare insieme i fantasmi che abbiamo nella testa. Ho potuto rimproverarlo e chiedergli come hanno potuto fare questa cosa – ha continuato – Il passato di mio padre, da sempre macchiato da tutto quel sangue, è diventato di nuovo mio”.

“Ho distrutto la mia vita e quella degli altri”: il racconto di Franco Bonisoli

Franco Bonisoli non ha usato mezze parole per spiegare il suo diretto coinvolgimento nell’omicidio di Aldo Moro e della sua scorta. Una vera e propria confessione, durante la quale, a tratti, le parole gli si sono spezzate in bocca e il suo discorso è stato rallentato dalla commozione di fronte ai ricordi di quei anni di piombo.

“L’incontro con Agnese Moro è stato per me il momento essenziale e la tappa di un percorso iniziato – ha dichiarato – Ho fatto parte delle Brigate Rosse, ho vissuto quattro anni da clandestino ricercato e avuto un ruolo importante nel gruppo di lotta armata e nell’uccisione di Moro. Per questo mi erano stati dati quattro ergastoli”.

“Il nostro obiettivo era quello di portare avanti una rivoluzione, distruggere il mondo esistente, che ritenevamo ingiusto: tutto ciò non ci faceva preoccupare della pena. Eravamo in una logica di guerra e vedevamo nelle persone dello Stato dei nemici: tutto era infarcito di ideologia, che non aveva un rapporto con la realtà – ha proseguito – Per fortuna sono andato in crisi. Ho avuto una riduzione della pena a 22 anni e mezzo, sono stato nel carcere di massima sicurezza. Mi ritengo una persona fortunata, perché ho ricostruito una vita, una famiglia con dei figli”.

“Nel mio percorso di crisi ho iniziato a capire che queste divise erano delle persone. Avevo un peso enorme e non vedevo delle prospettive: è cresciuto il peso della consapevolezza del dolore che avevo provocato – ha sottolineato – Secondo le leggi dello Stato, ho pagato interamente il mio debito, quindi è un problema mio interiore. Ho lavorato, ho fatto il volontario a fianco dei ragazzi difficili, a metà tra il riformatorio e il carcere. L’altra possibilità era quella di incontrare le persone a cui avevo creato del dolore: era tutto molto difficile, non sapevo quale sarebbe stata la loro reazione. Sono stati degli incontri difficili, dove ci siamo detti delle cose molto forti. Ora con Agnese Moro si è creata una profondità di rapporto che ha qualcosa di sorprendente”.

Bonisoli ha quindi spiegato cosa è stata per lui la giustizia riparativa: “Ho vissuto l’esperienza che non c’è limite al bene e ho dato un senso al dolore che ho provocato e al dolore che ho vissuto. Ho rovinato la mia vita e quella degli altri: a 19 anni ho abbandonato tutto, venivo da una famiglia di operai che in me, che andavo bene a scuola, vedevano un riscatto – ha confessato – Credevo in una rivoluzione che avrebbe dovuto portare una società più giusta. Ho provato anche il dolore della perdita dei compagni e in carcere ho preso atto di quella che è stata una sconfitta: avevo donato la mia vita a una risoluzione che ritenevo giusta e, in carcere, sono arrivato al punto di pensare che non valesse la pena andare avanti”.

Bonisoli ha quindi raccontato le tappe che hanno portato verso una diversa coscienza, a livello politico e sociale, sulla situazione delle carceri. Il tassello di un percorso che ha condotto verso l’incontro con Agnese Moro e anche con il figlio dell’autista di Aldo Moro, freddato da diversi colpi d’arma da fuoco.

“Il momento di cambiamento nelle carceri, grazie anche a un cappellano che ha creduto in noi detenuti, ha segnato il passaggio dall’inferno al purgatorio: la durezza della pena produce ulteriore durezza e criminalità – ha aggiunto – Ai giovani dico di non pensare alle scorciatoie e la violenza è una scorciatoia, che non porta a niente, anche se è alimentata da grandi ideali. Noi non abbiamo nulla da insegnare, ma siamo un fatto”.

“L’incontro con Agnese Moro è stato per me liberatorio: le gabbie più grandi erano quelle che mi ero fatto nella mia testa, perché guardi sempre al passato. Questa esperienza mi ha aiutato a perdonarmi – ha aggiunto – Così ho avuto la possibilità di guardare avanti. Le nostre sono testimonianze che pesano, perché ogni volta significa rivivere momenti drammatici”.

(Foto: Qdpnews.it © riproduzione riservata).
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