Le industrie vittoriesi tra Ottocento e Novecento: il Bacologico alla base dell’industria serica 

Ettore Marson

Gli stabilimenti bacologici, fulcro della città tra Ottocento e Novecento: è questo il tema che verrà affrontato da Ettore Marson, storico della sericoltura, in questa puntata di “Le industrie vittoriesi tra Ottocento e Novecento”, in collaborazione con il Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche di Vittorio Veneto.

Intervista a Ettore Marson – Video di Monica Ghizzo

La nascita degli stabilimenti bacologici

“Nella seconda metà dell’Ottocento e all’inizio del Novecento, Vittorio Veneto era una città completamente tappezzata da stabilimenti bacologici. Questi istituti nascono per un motivo sanitario perché la produzione di bozzoli, la bachicoltura, era stata colpita da una malattia che si era diffusa in tutta Europa e che aveva richiesto l’adozione di un metodo speciale – spiega Marson -. Metodo poi codificato e affrontato dallo scienziato Louis Pasteur, il quale ha dedicato parecchi anni della sua vita a migliorare le conoscenze per un progresso, anche nel campo della produzione dei bachi. 

Questo tipo di industria si era sviluppata in due città: Ascoli Piceno, che già prima della epidemia era una città tradizionalmente importante nell’ambito della produzione del seme di bachi, e Vittorio Veneto, grazie all’adozione del metodo Pasteur. Partendo dalla cattedrale di Ceneda, era tutto uno stabilimento bacologico: Pasqualis, Mattana, Tocchetti, Posocco. Il più importante è stato Pasqualis, uno scienziato che collaborò con il Governo asburgico anche nella nascita della Stazione Bacologica di Gorizia ed ebbe l’incarico di istituire la stazione di Trento, l’unico stabilimento bacologico per la produzione di seme bachi nell’ambito dell’impero austriaco”.

Come funzionavano gli stabilimenti 

“In Italia gli stabilimenti erano privati, operando comunque sotto uno strettissimo controllo della pubblica amministrazione perché le uova prodotte, con il metodo Pasteur, davano sicuramente un risultato positivo: venivano prodotti subito bozzoli che davano un buon risultato nelle filande. Questa seta veniva trasformata tramite le industrie di Como o di Lecco in prodotti in seta finiti solo per 1/3, gli altri 2/3 doveva andare all’estero, in Francia, in tutti i paesi del nord Europa e negli Stati Uniti.

In quegli anni, la seta grezza interveniva infatti come base monetaria. C’era questa richiesta enorme che consentiva di introitare valute estremamente preziose per la nostra politica monetaria. La Banca Centrale italiana aveva infatti l’obbligo di convertire in oro la carta moneta che circolava e quindi prese diverse iniziative, anche dopo la Prima Guerra Mondiale, per assicurarsi questo sostentamento”.

1935, il crollo fulminante

“Il mercato è andato avanti fino al 1934, dall’inizio del ’35 tutto crolla. Non c’è più bisogno dei bachi italiani: le grandi industrie di Como e Lecco continuano però la produzione del seme bachi e la produzione di bozzoli italiani ha un crollo notevole

Da un punto di vista di numeri, il crollo della produzione dei bozzoli avviene all’inizio degli anni trenta, subito dopo la crisi del 29. In questo caso specifico, avviene proprio durante i primi mesi del 1935. E’ stata una cosa fulminea. Tutti gli stabilimenti bacologici italiani non avevano più motivo di essere presentanti quindi quasi tutti chiusero. Lo Stato cerca in tutti i modi di superare questo momento, in modo che la gente non percepisca quello che era successo, e quindi vengo adottanti degli accorgimenti. Da un punto di vista pratico però, non c’era più la remunerazione. La produzione è andata avanti, non più da un punto di vista del mercato ma per decisione dello Stato”.

(Foto e video: Qdpnews.it ©️ riproduzione riservata).
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