Nel Comune di Vittorio Veneto ci sono due chiese che, pur nella loro diversità, rappresentano entrambi il sentire popolare.
La chiesa di S. Silvestro lungo l’antica via Calalta a Costa, ricostruita verso la seconda metà del XV secolo sul luogo di una precedente del X voluta dalla Scuola dei Battuti di Serravalle, conserva al suo interno l’opera più interessante del catalogodi Antonio Rosso, pittore cadorino che qui “manifesta il raggiungimento di un’equilibrata maturazione artistica” (E. Leonardi), mutuata da fonti ispiratrici di ascendenza padovana e vivariniana. Gli affreschi furono terminati nel 1502 e rappresentano le prove della divinità di Gesù desunte dalle Sacre Scritture e come stabilito dal Concilio di Nicea, convocato nel 325 proprio da papa Silvestro I, il santo titolare della chiesa di Costa. Nel catino absidale è rappresentato il Cristo Pantocratore, contornato dal Tetramorfo, dove papa Silvestro è raffigurato accanto al bue alato di S. Luca. La Chiesa docente è rappresentata dalla teoria degli Apostoli, colti in atteggiamento di disputa sui contenuti della Rivelazione. A dividere il collegio apostolico in due gruppi era la pala d’altare di Francesco Da Milano raffigurante San Silvestro in concistoro, attorniato da vescovi e cardinali rappresentanti le Chiese d’Oriente e d’Occidente (oggi conservata presso il museo diocesano di Ceneda). Sull’arco trionfale trova posto una grande Annunciazione con al centro il Padre Eterno dalla cui bocca esce in triplice raggio il Verbo diretto a Maria Vergine. Sul lato destro l’Angelo annunciante saluta con le parole scritte lungo la cornice dell’arco. Il riquadro sulla parete destra raffigurante la Trinità, in quanto successivo, è attribuito a Marco da Mel (figlio di Antonio Rosso).
L’oratorio di S. Antonio da Padova, lungo l’antica strada di Alemagna a San Giacomo di Veglia, sorge sul sedime di una precedente chiesetta del XVI secolo, che sostituì il capitello eretto nel XIII secolo per ricordare il passaggio del Santo.
La forma attuale dell’elegante oratorio “con la sua caratteristica forma slanciata e la pianta ottagonale” (C. Falsarella) la dobbiamo al vescovo di Ceneda Marcantonio Agazzi, che lo fece ristrutturare nel 1693. All’esterno sono da ammirare il campanile, sorretto da due eleganti colonnine, e la statua in pietra bianca di Sant’Antonio nell’atto di benedire e proteggere i passanti, posta entro una nicchia sopra il portale d’ingresso.
All’interno si possono ammirare i molti ex voto che lungo i secoli testimoniano l’affidamento alla protezione del Santo, gli ultimi dei quali dipinti da Vittorio Casagrande, nato proprio a San Giacomo di Veglia. Essi rappresentano frammenti di vita vissuta e coprono un arco temporale che va dal XVII secolo fino al 1956. Anche le grandi tele settecentesche ai due lati dell’arcone sono ex voto voluti dalla nobile famiglia cenedese dei Bertoia come ringraziamento e affidamento al Santo. Al centro del marmoreo altare ad ali passanti ci attende la statua di Sant’Antonio, rappresentata nell’atto di camminare e parlare. Sembra quasi che l’autore abbia colto l’essenza del Santo, riuscendo a riprodurre un’eco delle sue parole, sensazione rafforzata dal fatto che un frammento della sua lingua benedetta è conservata qui come preziosa reliquia.
Meta nei secoli di pellegrini e devoti, sosta per il nuovo Cammino di Sant’Antonio, ancora oggi sono numerose le persone che si fermano per un momento di raccoglimento, per affidarsi al Santo e per recitare i Sequeri.
(Autore: Giuliano Ros – Lisa Bolzan).
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