Che cosa sarebbero le nostre esistenze senza il cinema, o almeno i ricordi del grande schermo, della sala buia, dei famosi film che hanno saputo raccontare, interpretare, emozionare intere generazioni?
Nei giorni dell’80esima edizione della Mostra internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, non poteva passare inosservata anche ai nostri occhi questa straordinaria espressione del talento e dell’animo umano, questa rappresentazione originalissima e insostituibile di storie, ambienti e narrazioni delle vite di tutti. Su queste pagine abbiamo parlato di cultura, di bellezza, di musica.
Oggi parliamo volentieri di cinema, eccezionale veicolo di verità e di immaginazione che ha accompagnato fedelmente il cammino delle generazioni prima di noi, con i registi da leggenda, le attrici e gli attori rimasti miti per sempre, con i film più famosi che hanno aiutato a conoscere, a capire, a leggere le situazioni, ad andare nel profondo dei sentimenti e delle piccole grandi vicende dell’umanità di ogni tempo.
Noi stessi siamo cresciuti a filmine e diapositive, prima di approdare al cinema delle sale parrocchiali, ai cineforum, alle rassegne, alle stagioni cinematografiche in cui le prime visioni costringevano a percorsi e distanze verso le città importanti, salvo attendere con pazienza l’arrivo della pellicola vicino a casa.
E sempre un’emozione inevitabile, a volte simpatica e divertita, a volte serena e scacciapensieri, a volte invece inquieta e riflessiva, faceva compagnia a questi film, sul grande schermo, poiché di questo si parlava, e allora non esistevano alternative di genere a un’arte considerata di per sé fruibile solo in luoghi dedicati, fuori dal comodo recinto delle mura domestiche. Era un rito l’informazione sulle prossime uscite al botteghino, sui protagonisti del film, sui generi e le colonne sonore.
Era un rito la scelto del giorno e dell’orario, molto spesso concentrati nei giorni festivi. Era un rito la decisione sulla compagnia, la sede vera e propria, i programmi che potevano seguire la visione del lungometraggio. Era un rito, ed è ancora un rito, per certi aspetti.
Anche se bisogna dire – è dato di cronaca puntuale e costante, ormai sotto gli occhi di tutti, purtroppo – che tante sale stanno chiudendo a ritmo continuo, e la concorrenza delle varie piattaforme sugli schermi di casa rischia di produrre un effetto letale per la vita del cinema, almeno per come lo abbiano conosciuto finora. “Ogni secolo ha la sua forma d’espressione.
Il Settecento è stato il secolo del teatro: Molière, Goldoni. L’Ottocento è stato il secolo della lirica, ma più ancora il secolo del romanzo: Flaubert e Hugo, Balzac e Manzoni, Tolstoj e Dostojevski.
Il Novecento è stato il secolo del cinema … Ognuno ha la sua classifica …. Questo è il secolo della Rete. Ciò non significa che il teatro, il romanzo, il cinema siano morti. Ma le platee dei teatri sono pieni di teste bianche o calve (e meno male che ci sono). I romanzi che concorrono ai premi letterari sono ormai quasi sempre racconti di cose vere. E il cinema purtroppo non fa più parte della vita delle persone.
La forbice tra le opere destinate al grande pubblico e quelle pensate per la critica e per l’arte si è molto divaricata. Ormai i grandi capitali sono investiti nelle serie, che vanno sulle varie piattaforme. L’intelligenza artificiale apre praterie abbastanza terrificanti.
Tra poco non sarà più necessario percorrere il vasto mondo per girare un film o un documentario, si farà tutto da fermo, negli studi virtuali. Ma se è per questo i peplum degli anni ‘50 erano fatti anche montando scene di massa già usate da altri registi in altri film; così, per risparmiare. Il cinema non morirà.
Ma dobbiamo aiutarlo a sopravvivere. Ad esempio salvando le sale, come si è fatto a Parigi. Perché i film vanno visti al buio e sul grande schermo”. Con queste parole il giornalista Aldo Cazzullo rispondeva di recente sul “Corriere della Sera” alle domande di alcuni lettori, ansiosi di conoscere un suo parere proprio sul futuro del cinema e al tempo decisamente pessimisti, vista la loro convinzione che “come Dio per Nietzsche, adesso il cinema è morto.
Ma poiché è anche un’industria che dà da vivere a migliaia di persone, sopravvive a se stesso, in stato comatoso”. Eppure, di cinema, di grande cinema avremmo assolutamente bisogno ai nostri giorni, capace di far pensare, di far riflettere, di fare memoria di tempi vissuti, di avere sguardo di futuro, di esaltare i sentimenti migliori dell’umanità, anche abile a rappresentare le tristezze, le inquietudini e le difficoltà delle persone nei rapporti quotidiani, ma anche di non deprimere, di far sognare, di offrire messaggi di ottimismo e di fiducia per una umanità oggi alla sospirata ricerca di qualcosa in cui credere, per cui vale la pena impegnarsi, soffrire, lottare e donare se stessi.
E, magari, anche di qualche attore/attrice che non sia solo protagonista sui “red carpet”, ma diventi testimonial di talento, serietà, professionalità, dedizione, umanità, e di un sorriso – perché no? – a favore di tutti, e in particolare delle giovani generazioni.
Inoltre, abbiamo un gran bisogno di storie a lieto fine o, come dicono gli anglosassoni, di “happy ending”: dopo la lunga e penosa stagione del Covid, i riflessi psicologici e sociali della guerra in Ucraina, le paure e le ansie di tante persone per i dramma climatici ed ecologici, molti avvertono proprio la necessità di racconti cinematografici ispirati a leggerezza, profondità, condivisione, altruismo, speranza.
Forse è proprio il caso di ripensare anche a un cinema di nuovi pensieri, ambienti, sentimenti e approdi, dentro la prospettiva di un nuovo umanesimo ispirato ai film reali delle nostre vite.
(Foto: archivio Qdpnews.it).
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