La strana storia del sior Rioba

Quattro bizzarri personaggi, scolpiti nella pietra d’Istria e vestiti all’orientale, vegliano da settecento anni sul Campo dei Mori, sestiere veneziano di Cannaregio. Uno di essi sembra una sentinella in garitta, racchiuso com’è in una nicchia ai piedi di quella che fu la casa del Tintoretto.  Poco distante, sulla facciata di un elegante palazzetto a due passi della Madonna dell’Orto ove riposano le spoglie del pittore, è visibile una lapide con un cammello (anzi un dromedario) carico di mercanzie guidato da un uomo dall’aspetto turchesco. Non siamo in un suk arabo e nemmeno in una enclave mediorientale, bensì nel cuore dei possedimenti veneziani della famiglia Mastelli, giunta nel Medioevo dal Peloponneso, la Morea, così chiamata per la sua forma che ricorda quella di una foglia di gelso, il “morer”.

Le statue dei Mori raffigurano i tre fratelli Rioba, Sandi e Afani e un quarto misterioso soggetto detto “el Moro Mambrun”. I tre, abbandonata la Grecia per sfuggire a pericolose “sedizioni civili”, nel secolo XI ripararono a Venezia portando con sé i loro averi: una circostanza che troverebbe conferma nei fardelli che gravano sulle loro spalle, simbolo della condizione di viaggiatori e benestanti. Se la partecipazione alla Quarta Crociata capeggiata da Enrico Dandolo offrì ai tre esuli greci l’opportunità per entrare a far parte del patriziato lagunare, il trionfo nel commercio di zucchero, spezie e forse tessuti ne accrebbe ulteriormente la reputazione. Essi possedevano un fondaco la cui insegna, il Cammello, era forse collegata con la lapide di cui si è detto all’inizio. Il blasone di famiglia invece, uno scudo con scacchiera, fu apposto in numerosi edifici a riprova del loro prestigio. Accumulate parecchie fortune, i discendenti dei tre Mori lasciarono la laguna per trasferirsi nell’entroterra sulla riviera del Brenta, ove la famiglia si estinse nel Seicento.

Fin qui la storia, ma le vicende dei tre fratelli, ammirati e invidiati per le loro ricchezze, finì con l’alimentare numerose dicerie e leggende nate per esaltare o gettare discredito sui Mori. Il cognome Mastelli ad esempio, sarebbe da mettere in relazione con i numerosi tini necessari a contenere gli ori e gli argenti di famiglia. Il cammello che campeggia sulla lapide e che diede il nome alla loro attività mercantile, potrebbe invece simboleggiare le loro virtù: la sobrietà (per la quale Sant’Agostino assimila il quadrupede a Cristo), la modestia (il cammello è uso inginocchiarsi) e la saggezza che l’animale dimostra accettando solo i pesi commisurati alle proprie forze. 

Delle tre statue, un tempo dipinte e alle quali forse il turbante fu apposto successivamente, una reca in testa un berretto ed è riconoscibilissima per il naso rifatto in ferro nell’Ottocento: la tradizione popolare vuole che questi sia il leggendario sior Rioba, così chiamato per l’incisione sul carico che sorregge ma che in realtà starebbe per “riobarbaro”, cioè rabarbaro. Amato dai veneziani, il sior Rioba divenne sinonimo di ironia e saggezza popolare; come altrove, sulla statua venivano affissi versi satirici o dissacranti e toccarne il naso portava fortuna; una burla frequente era quella di incaricare i facchini più giovani o creduloni a consegnare del materiale all’immaginario sior Rioba.

Il successo negli affari dei tre fratelli non mancò di suscitare invidie: da qui la leggenda di un presunto raggiro perpetrato dagli avidi mercanti ai danni di una devota veneziana che implorò Maria Maddalena di renderle giustizia. La santa, accolta la supplica e assunte sembianze insospettabili, si recò nell’emporio dove i fratelli l’accolsero decantando le merci e pregando Dio di pietrificarli se fossero stati disonesti. Cosa che puntualmente accadde e che non risparmiò il commesso, trasformato nella quarta statua, “el Moro Mambrun”.

Anche sul palazzetto del cammello aleggia una leggenda, questa volta dalle tinte fosche. Nel 1757, quando l’edificio era di proprietà di un tale notaio Pietro Prezzato, per parecchie sere consecutive le campanelle delle stanze suonarono contemporaneamente provocando tale sgomento negli abitanti che fu necessario ricorrere prima al prete e poi all’esorcista.

Quella volta in Campo dei Mori vi fu grande scompiglio: un anonimo cronista narra che al cospetto dell’inquietante scampanellio e della grida di terrore delle donne di casa, per un istante sul volto pietrificato del sior Rioba, dei suoi fratelli e del “Moro Mambrun” sia comparso un sorriso beffardo.

(Foto: Qdpnews.it ©️ riproduzione riservata).
#Qdpnews.it

Total
1
Shares
Articoli correlati