Esplorando la sinistra Piave giungiamo a Cimadolmo, comune di quasi 3.500 abitanti che estende il proprio territorio sulle cosiddette Grave di Papadopoli, il deposito di ghiaie formatosi alla fine dell’Ottocento e che, come un’isola, divide il fiume in due rami. Non è la prima volta che ci imbattiamo in un fitonimo, un nome di luogo legato a una specifica essenza vegetale: dopo le felci di San Pietro di Feletto e i cotogni di Codogné, questa volta siamo approdati all’ombra di un olmo imponente.
Un albero maestoso che nello stemma comunale affonda le proprie radici nell’isolotto lambito dai due rami del Piave. Per quanto riguarda la “cima” appare più verosimile che si tratti della estremità di un territorio denominato “olmo” piuttosto che la semplice sommità della pianta.
Fin qui tutto abbastanza chiaro, ma sull’olmo le teorie divergono. Una prima ipotesi evoca culti precristiani nei quali piante come il tasso, la quercia, il vischio e l’olmo fungevano da punto di riferimento per la comunità, luogo di raccolta, elemento di protezione dalle calamità naturali e custodi dei confini (arbor sacra finalis).
Una teoria alternativa ed evidentemente più concreta associa il toponimo Cimadolmo alla piantumazione di olmi fatta in epoca medievale dai monaci benedettini provenienti dall’abbazia di Nonantola con lo scopo di bonificare i terreni paludosi. Quale che sia la spiegazione più attendibile l’olmo, con le sue diverse specie, caratterizza da sempre il paesaggio italiano e costituisce una risorsa importante per l’artigianato del mobile, il giardinaggio e la fitoterapia.
La prossimità di Cimadolmo alle sponde del Piave, nel lungo corso della storia, è stata alternativamente ragione di prosperità e causa di drammatiche sciagure. Per cogliere l’essenza della vita quotidiana delle genti rivierasche è d’obbligo una visita al Museo Comunale nel quale ammirare le attrezzature degli addetti alla vigilanza delle acque: cerate impermeabili, lampade ad acetilene e torce a vento che richiamano le immagini del leggendario capitano Achab protagonista della caccia a Moby Dick.
Dal museo civico si dipartono diversi itinerari archeologici, naturalistici, storici ed enologici. Ci seduce quello gastronomico, alla scoperta dell’asparago bianco IGP del quale Giacomo Agostinetti (1597 – 1682) parla ampiamente nei suoi “Cento e dieci ricordi che formano il buon fattor di villa” e che autori come Plinio il Vecchio e Marziale consideravano talmente salutare da definirlo prodigia ventris.
Lasciamo a malincuore Cimadolmo ripromettendoci di tornare quanto prima a godere della suggestione dei luoghi, dell’accoglienza dei suoi abitanti e perché no dei sapori di una terra unica.
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