Toponimi della Marca trevigiana, Portobuffolé: alla ricerca di una donna misteriosa nella terra dei bufali, dei leoni e dei gigli d’oro

Il toponimo di oggi: Portobuffolè

Portobuffolé, meno di mille abitanti, occupa con le sue frazioni le due sponde del fiume Livenza in una posizione prossima al confine friulano. A lungo contesa dalle signorie locali per via della sua collocazione strategica, Portobuffolé ha vissuto i suoi anni più prosperi sotto l’ala protettrice della Repubblica Serenissima.

Il legame con Venezia è testimoniato dai numerosi leoni di san Marco che ornano piazza Vittorio Emanuele II, la loggia comunale, Porta Friuli e il Monte di Pietà sulla cui porta spicca il cosiddetto “Leon in moeca”, il leone che ritratto frontalmente assume le vaghe fattezze del granchio di laguna. Tracce del rapporto privilegiato fra la Serenissima e Portobuffolé si ritrovano anche nel singolare stemma civico nel quale la croce, segno distintivo della Marca Trevigiana, è circondata da quattro gigli d’oro simbolo della ricchezza di acque, ma anche della fedeltà a Venezia.

La stessa sagoma rococò del blasone, decorato con un elmo di ferro provvisto di piume di struzzo, è ritenuto un omaggio della città lagunare alla leale comunità portuense.

Attestato in età medievale come “Castellarium Portus Buvoledi“, “Portusbufoledi” e “portus Bufoledo”, l’abitato era precedentemente noto come “Septimum de Liquentia” per via delle sette miglia che lo separavano da Oderzo.

Se alcuni studiosi intravedono l’origine del toponimo Portobuffolé nello zoonimo “bufalo”, in latino bubalusbufalus, altri sono convinti che il rustico e forte bovide non c’entri affatto. Ed ecco delinearsi una seconda teoria secondo la quale entrerebbe in gioco il termine tardo latino “bova”, o “beva” nell’accezione di canale o fossato. Una terza e interessante ipotesi, a metà strada fra le precedenti, fa riferimento a un tipo di imbarcazione detta “bufalina” adibita al trasporto di merci lungo le vie fluviali. Merita infine un cenno, ma solo a titolo di mera curiosità, la “bova” intesa come scavo nel quale nascondere il frumento per sottrarlo alle razzie dei predoni.

Affascinati ma anche un po’ confusi da tutte queste idee, passeggiamo lungo le mura, e sotto i portici di un abitato che, per il proprio fascino, è annoverato fra i borghi più belli d’Italia e si fregia della Bandiera Arancione del Touring Club Italiano. Camminando e osservando le innumerevoli testimonianze storiche giungiamo davanti alla casa di una donna emblematica, una delle prime a comporre versi in provenzale, vissuta a cavallo fra il Duecento e il Trecento. Gaia da Camino, da alcuni reputata dama virtuosa e da altri bollata come dissoluta, con la propria fama ha suscitato anche l’interesse del Sommo Poeta che la cita nel Purgatorio. Gli affreschi, i decori e le architetture della casa di Gaia ci restituiscono l’atmosfera di un borgo che fu epicentro di raffinatezza e cultura e che, nonostante il trascorrere dei secoli, mantiene intatta la propria innata eleganza.

(Foto: Qdpnews.it © riproduzione riservata).
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