Quello in corso è il periodo di Giro d’Italia, l’appuntamento più atteso per gli atleti e gli appassionati del mondo del ciclismo. Una competizione sportiva che è anche l’occasione per riscoprire storie del passato, destinate a non tramontare mai.
Non tutti sanno, infatti, che al Giro d’Italia in passato partecipò anche una donna, misurandosi con ciclisti di sesso maschile.
Si tratta di Alfonsina Strada (1891-1959, all’anagrafe Alfonsa Rosa Maria Morini, assunse poi il cognome del marito), prima donna a partecipare a un’edizione del Giro d’Italia, più precisamente quella del 1924. Ma fu anche la prima donna a gareggiare in competizioni maschili, come ad esempio il Giro di Lombardia.
In questo modo, divenne automaticamente la pioniera della parificazione tra sport maschile e femminile, un concetto che, oggigiorno, diamo quasi per scontato.
Una storia, quella della ciclista che divenne professionista dal 1907 al 1936, che non può rimanere inosservata, poiché è necessario considerare lo sfondo sociale dell’epoca in cui ciò avvenne, ovvero un periodo storico in cui non era ben vista l’immagine di una donna ciclista, tantomeno era contemplata la figura di una ciclista professionista.
La vicenda di Alfonsina ebbe inizio nella campagna di Castelfranco Emilia, nel Modenese, da una famiglia di braccianti. Fu per merito del padre se scoprì la propria professione per le due ruote: il papà, infatti, nel 1901 acquistò una bicicletta dal medico del paese.
Alfonsina si innamorò di questo sport, a tal punto che, prima di compiere 14 anni, già partecipava a delle gare sportive di nascosto, incurante delle convenzioni dell’epoca e coprendo queste partecipazioni con la scusa di andare a messa.
La famiglia, però, scoprì la cosa e le diede il permesso di continuare a pedalare, a patto che si sposasse. E fu così che Alfonsina si sposò con Luigi Strada, meccanico che la incoraggiò in questa sua passione, sostenendola e diventando il suo primo manager. Per le nozze la donna ricevette in regalo una bicicletta da corsa.
Successivamente si diresse a Torino, città in cui il ciclismo femminile non destava scandalo come in altre zone d’Italia: dalle sue competizioni riuscì a guadagnarsi il titolo di “miglior ciclista italiana”.
Nel 1911, inoltre, a Moncalieri (sempre nel Torinese) tagliò il record di velocità femminile, raggiungendo la velocità di 37,192 chilometri orari.
Verso il Giro d’Italia: l’avventura nelle competizioni maschili
La svolta arrivò nel 1917, quando decise di iscriversi al Giro di Lombardia, una competizione prettamente maschile: ciò le fu possibile perché nessun regolamento lo vietava (all’epoca non era stata presa in considerazione l’eventualità che un fatto simile potesse accadere), essendo tesserata come dilettante di seconda categoria.
Lì Alfonsina partecipò gareggiando contro gli atleti maschili e lo stesso fece con altre competizioni successive: l’obiettivo, però, rimaneva quello di gareggiare al Giro d’Italia.
Una competizione a cui si iscrisse nel 1924, con il numero 72: questa fu per lei non soltanto un’opportunità sportiva, ma anche e soprattutto economica, considerato che il marito, ammalatosi, era stato ricoverato in manicomio, dove sarebbe rimasto fino alla morte.
Il lavoro da sarta non era più sufficiente a coprire tutte le spese famigliari e, ora, c’era anche la retta del manicomio.
Ancora una volta l’iscrizione le fu concessa, però non senza polemiche: il suo nome non venne inserito nell’elenco dei partecipanti, ma comparve comunque tra le pagine dei quotidiani.
Per lei fu difficoltoso gareggiare contro i colleghi maschi, tanto che il suo arrivo a fine tappa avveniva con ore di ritardo rispetto agli altri partecipanti. Ma la sua partecipazione destò non poca curiosità, tanto che il suo arrivo veniva accolto sempre con molto entusiasmo dal pubblico, che la sosteneva e incoraggiava.
La sua popolarità non fece così che aumentare, tanto che le venne dato il titolo di “Regina del Giro”: Alfonsina, nel frattempo, riuscì a pagare le spese della propria famiglia.
Nonostante il clamore raccolto, però, il suo arrivo fuori tempo nell’ottava tappa L’Aquila-Perugia fece sì che i giudici di gara la escludessero dal Giro: potè continuare a prendere parte alle tappe successive, ma i suoi tempi non furono conteggiati ai fini della classifica finale.
Fu la sua tenacia a spingerla a partecipare lo stesso alle tappe, nonostante tutto. Da evidenziare che dei 90 ciclisti partecipanti a quell’edizione del Giro d’Italia, soltanto 30 finirono la competizione sportiva e tra questi atleti c’era la stessa Alfonsina Strada.
A quest’ultima non venne più data l’opportunità di iscriversi alle edizioni successive del Giro. Rimasta vedova, si risposò nel 1950, stavolta con un ex ciclista, con il quale aprì un negozio di biciclette, con officina annessa.
Il brano “Bellezza in bicicletta” e le successive avventure di Alfonsina
Negli anni cinquanta l’avventura al Giro di Alfonsina Strada non era ancora storia passata: proprio al suo profilo venne infatti dedicato il brano “Bellezze in bicicletta”, prima cantato da Silvana Pampanini nell’omonimo film, poi dal Trio Lescano e Mina.
Ma la sua storia fu d’ispirazione anche per la letteratura: ancora una volta Alfonsina ispirò la creatività di qualcuno, stavolta dello scrittore Gianni Celati, con il racconto “Storia della corridora e del suo innamorato”, edito da Feltrinelli in una sua raccolta del 1958.
Vent’anni prima, nel 1938, aveva intanto stabilito il record femminile (35,28 chilometri orari) in Francia, a Longchamp. Successivamente mantenne la passione per la bicicletta anche nella quotidianità, usando quel mezzo per recarsi al lavoro. Poi, sostituì la sua bicicletta con una moto Guzzi 500.
(Foto: Wikipedia).
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