Dentro il colosso della Cementirossi, il cementificio sull’argine del Piave tra storia, tecnologia e prospettive di sostenibilità ambientale

Il cementificio di Pederobba
Il cementificio di Pederobba

È difficile che il termine “cemento” venga affiancato a un immaginario positivo e colorato. Inutile negare che ai cementifici si tende in genere a guardare con diffidenza: le dimensioni di una struttura di questo tipo e con le necessità di controllo e gestione degli impianti, forse, descrivono una cittadella chiusa, alla quale accedono soltanto gli addetti.

La Cementirossi di Pederobba, lungo l’argine del fiume Piave e la statale Feltrina, incute timore al passante che la vede inserita nel contesto paesaggistico, ma ha un importante ruolo nel sostentamento delle oltre 150 risorse che vi lavorano, tutte residenti nei dintorni, oltre a garantire un livello qualitativo di prodotto oggettivamente capace di distinguersi in Italia.

Il materiale estratto nell’area della Valcavasia sfugge alla percezione di chi ha sempre visto questa filiera come un ingombro, anche se è chiaro che il settore dovrà lavorare ancora, con costanza, per migliorare la propria natura impattante.

Nella nostra visita all’interno della struttura abbiamo scoperto anche elementi che solitamente si tende a non considerare nell’osservare dall’esterno il cementificio: abbiamo incontrato risorse giovani e ambiziose che si spostano in bicicletta da un reparto all’altro, progetti di sostenibilità nei quali sono state investite decine di milioni di euro (anche senza per forza un ritorno di tipo economico o che una normativa lo imponga) e in generale un’attenzione per l’ordine in tutti gli ambienti. Elementi sui quali la stessa Cementirossi non aveva mai insistito nelle proprie comunicazioni verso l’esterno.

La storia del cementificio

La ditta nacque prima a Piacenza nel 1932, poi come Cementi Piave SpA fondò la propria sede nel 1952 a Pederobba: l’origine di questo nome non ha niente a che fare con “petra rubla”, ovvero con la antica denominazione del Comune dovuta al colore della pietra che ne compone alcune sezioni geologiche. Semplicemente, il destino ha portato a investire in questa zona una famiglia di industriali che di cognome faceva proprio Rossi. In particolare, dietro a questa realtà c’è la sagoma del cavalier Giovanni Rossi da Piacenza, un uomo che oltre a far grande la sua azienda, costruì la casa ai propri dipendenti, aprì cooperative e istituì persino una scuola di disegno.

I cementifici della famiglia Rossi vennero fortemente danneggiati durante la Seconda Guerra mondiale, ma ebbero chiaramente un gran successo nell’epoca della Ricostruzione: come già detto, sulla scia di questo successo, assieme alle famiglie Facco e Ferro fece costruire l’attuale stabilimento di Pederobba.

Il ciclo produttivo

Oggi, dopo varie decadi, a dirigere lo stabilimento di stabilimento di Pederobba è l’ingegner Maurizio Schininà, che accetta di accetta di accompagnarci a scoprire la filiera produttiva e le iniziative legate alla sostenibilità. Prima però, ci descrive quali sono i passaggi che descrivono la produzione del cemento, iniziando dall’estrazione della marna.

“La marna è un mix naturale di carbonato di calcio e argilla – ci spiega l’ingegner Schininà nel quartier generale dello stabilimento – La nostra miniera di Possagno è a dieci chilometri di distanza: questo per noi è un punto di forza. Per il futuro dello stabilimento, avere la materia prima a portata di mano è un vantaggio notevole.

Abbiamo un’area di circa cento ettari coltivata secondo piani di coltivazione annuali. Questi vengono concordati con gli enti di controllo quali la Regione e il Corpo della Polizia Mineraria: a fronte di un certo numero di metri cubi che caviamo, restituiamo fertilità al territorio attraverso un’opera di idrosemina, piantumazione e riposizionamento delle piante”.

Seguendo il processo di lavorazione, nella sala di controllo centralizzata, dedicata al controllo qualità, e poi in laboratorio, il direttore di miniera ha la possibilità di controllare la qualità e la consistenza del materiale attraverso un analizzatore a raggi x, correggendo in tempo reale ciò che entra in cementeria. Successivamente, attraverso un processo di macinazione, la farina prodotta viene poi stoccata e inviata al forno di cottura con la conseguente produzione di clinker.

La cottura e il clinker

La cottura rappresenta il passaggio effettivamente più energivoro e impattante dal punto di vista ambientale perché la temperatura da raggiungere ammonta a ben millecinquecento gradi. Per limitare questo effetto la struttura di Pederobba ha installato un sistema catalitico di riduzione degli NoX (SCR), da oltre dieci milioni di euro. Successivamente, guardando gli obiettivi dell’agenda 2030, ha lavorato nei termini della sostenibilità circolare. “Grazie a un accordo con Ecopneus, il consorzio nazionale dei recuperatori di copertoni, gli pneumatici fine vita non più utilizzabili vengono utilizzati nei bruciatori di nuova generazione” ci spiega il direttore di stabilimento mentre visitiamo l’area più a est dello stabilimento.

“Il processo di preparazione è tecnologicamente semplice, ma dal punto di vista del controllo qualità diventa complesso – spiega Schininà. – Applichiamo tutti i principi delle migliori tecnologie, sia per la qualità finale del prodotto, sia per l’impatto sull’ambiente. Stiamo cercando una formula che garantisca la stessa qualità ma che mantenga una percentuale inferiore di clinker, preferendo gli additivi ottenuti con percorsi di economia circolare”.

Lo stoccaggio e i vari tipi di materiale

Al termine del processo di cottura il materiale viene stoccato in un deposito di circa sessantamila tonnellate per poi venire nuovamente macinato in altre tipologie di mulini. Al clinker si aggiunge poi il gesso, che fa da regolatore di presa e che può essere ottenuto da processi di sostenibilità circolare. A questo punto si possono aggiungere pozzolana e ceneri volanti, oppure altri materiali che garantiscono differenti effetti al materiale finale, prima di aggiungere il solfato ferroso per abbattere l’eventuale presenza di cromo. Il risultato è di nove tipologie di cemento diversi.

Lo stabilimento viene alimentato dalla miniera per cinque giorni su sette, ma in realtà non si ferma mai. Il forno marcia costantemente per almeno dieci mesi all’anno, fatta eccezione per alcune fermate programmate. Schininà assicura che anche la formazione sulla sicurezza è molto intensa e che ogni addetto è tenuto a frequentarla: gli impianti vengono sorvegliati ventiquattro ore su ventiquattro e nemmeno le procedure straordinarie lasciano spazio all’improvvisazione.

Concludendo, quindi, se da una parte c’è l’effettiva constatazione di quanto il cemento sia ancora un elemento fondamentale per le grandi opere, dall’altra non si può ignorare il fatto di dover procedere verso un sempre minor impatto ambientale. Senza dimenticare che la sostenibilità è composta da diversi parametri e che la ricaduta in termini di occupazione che una grande azienda ha su un territorio non è certo da escludere.

(Foto e video: Qdpnews.it ©️ riproduzione riservata).
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