Lo conosce bene l’Afghanistan Salvatore Cauchi, c’è stato due volte, per altrettante missioni come medico nel 2012 e nel 2015.
Nonostante siano passati diversi anni, e lui sia tornato a fare il proprio lavoro di medico di base specializzato in otorinolaringoiatria a Pieve di Soligo, difficilmente dimenticherà i momenti trascorsi a “Fob Ice”, l’avamposto italiano nel deserto a nord ovest del paese vicino a Herat.
“Le fob – spiega Cauchi – erano dei fortini militarizzati posti nel pieno del deserto dove intorno si nascondevano i talebani. Ogni tanto si facevano sentire attaccando con colpi di mortaio”. Proprio in uno di questi attacchi, il 24 marzo del 2012, perse la vita un militare italiano e altri cinque rimasero feriti.
Dottor Cauchi, alla luce degli avvenimenti di questi ultimi giorni e il ritorno al potere dei Talebani, crede, come molti sostengono, che i vent’anni di guerra siano stati un dispendio inutile di tempo, soldi e vite umane?
“No, io penso proprio di no, perché in questi vent’anni almeno abbiamo portato un po’ di tranquillità e innovazione, anche culturale, a cui il popolo afghano si era disabituato dopo l’invasione russa a causa della crescita del fondamentalismo, che noi abbiamo almeno interrotto. In questi vent’anni, almeno nelle zone che ho visitato io, si è visto un notevole miglioramento della vita: la gente era tornata a popolare i villaggi e anche a livello culturale c’erano stati dei miglioramenti visto che a Herat molte donne non portavano più il burqa, erano molto più libere”.
Da conoscitore di quelle zone come vede il futuro, non solamente di donne e bambini, ma di tutto il popolo Afghano?
“Beh, da i ricordi che ho credo, che sarà un futuro molto triste. Noi eravamo in missione di pace e lavoravamo molto con i civili, fornendo loro cure mediche perché, nonostante fossimo in mezzo al deserto, arrivavano comunque dei civili. Si facevamo 20-30 chilometri per farsi curare, ed erano soprattutto donne e bambini. Girando per i villaggi vedevo che quando passavano i talebani lasciavano situazioni molto brutte e la gente scappava. Quando arrivavamo noi, invece, la popolazione si rianimava e ritornava nei villaggi facendo vita sociale. Penso, quindi, che la loro situazione sarà molto triste. Molto triste per le donne e soprattutto per i bambini”.
Prima dell’arrivo dei talebani qual era la situazione sanitaria della popolazione afghana? Avevano tutti diritto alle cure e accesso ai farmaci?
“No, ma diciamo che la situazione stava migliorando perché, come dicevo prima, noi portavamo molto aiuto alla popolazione limitrofe come medicine e generi di sostentamento. Avevamo aperto anche delle scuole e aiutavamo i colleghi medici afghani a curare le persone e ad aprire ambulatori. Noi stessi come esercito aprivamo le porte dei nostri campi alla popolazione civile per essere curata quindi rispetto al niente a cui si erano abituati negli anni precedenti il nostro arrivo c’era un aiuto alla popolazione in termini sanitari e culturali”.
Qual era invece la situazione del rispetto dei diritti umani?
“Non so come fosse la situazione prima di noi, ma con il nostro arrivo è sicuramente migliorata. I vecchi del villaggio, che sono loro che poi comandano, si aprivano e davano più possibilità alla gente. Consideri che, quando c’erano i talebani, la gente non poteva nemmeno guardare la televisione perché era considerata una cosa del diavolo. Erano in perfetto Medioevo e quindi con il nostro avvento almeno riuscivano a usare i telefoni e guardare la tv”.
Secondo lei, vista la situazione attuale, gli stati europei come devono muoversi? In molti auspicano l’apertura di corridoi umanitari correndo il rischio che però entri in Europa anche qualche terrorista.
“Il rischio senza dubbio esiste. Come c’è stato il rischio con i libici e in altre situazioni analoghe. Bisogna considerare che c’è stata diversa gente che ci ha aiutati molto: personalmente se non avessi avuto un interprete con me non sarei riuscito a curare nessuno. Questa gente ci ha facilitato nelle nostre missioni e per loro ora è molto pericoloso abitare in questi luoghi sotto il governo talebano. Almeno la gente che ha collaborato con noi deve essere assolutamente portata in Italia perché non è che rimanendo in Afghanistan rischino la vita, la perdono e basta”.
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