La tradizione dell’allevamento del baco da seta nelle storie raccontate da tre ospiti del Bon Bozzolla al parco Livelet

Il baco da seta è una tradizione del nostro territorio intrisa di storia e memoria che sabato 24 settembre è stata resa nota grazie ai racconti dei nostri anziani al Parco archeologico Livelet di Revine Lago. 

Un evento organizzato grazie al progetto “La Via della Seta” di Marzia Barzotto, che ha reso possibile la presenza di 5 mila bachi. Il Comune di Cison di Valmarino, in collaborazione con “Crea” di Padova, ha quindi dato il via al progetto “La casa di seta” e sabato è stata organizzata un’apertura straordinaria del Parco “A memoria di baco”.

L’evento è iniziato con i saluti dell’amministrazione comunale di Revine Lago mentre, dalle 14.30 alle 15.15 è intervenuto Alessio Saviane del Crea, che ha parlato di bachicoltura ai giorni nostri e dei nuovi impieghi della seta.

Un evento emozionante all’insegna dei ricordi quello dalle 15.30 alle 16.30 quando sono intervenute delle anziane della casa di riposo Villa Bianca di Tarzo e del Bon Bozzolla di Farra di Soligo. Le tre donne hanno ricordato la loro gioventù, passata allevando i bachi da seta. 

“Sono nata a Moriago della Battaglia e ho 76 anni – ha esordito Rita, una delle anziane -. Mia mamma andava a prendere i bachi circa il 25 aprile a Col San Martino. Un’oncia (2 grammi) con il cestino. Arrivati a casa, mia mamma li sollevava con delicatezza, come una piuma d’oca data la loro fragilità e iniziava ad allevarli. Andavamo nel campo con la scala e la carriola a tagliare i rami per poi metterli come ‘letto’ ai bachi. Solamente alla terza muta, mia mamma mi lasciava cambiare loro il ‘letto’. Le foglie si dovevano mettere in una stanza apposita e venivano tagliate e preparate solamente dall’uomo o al massimo da una donna adulta”. 

I bachi li tenevamo in casa – continua l’anziana – in cucina o nel granaio quando erano molto grandi perché ci voleva spazio. Gli davamo da mangiare solamente foglie e i rami erano di larice dove loro si arrampicavano. Quando era ora di raccoglierli, gli adulti ci dicevano ‘attenti ai mori’ che erano quelli che non avevano prodotto il bozzolo. Inoltre c’erano quelli macchiati e i doppi. Mi ricordo che c’era uno da Vidor che veniva a prenderli, arrivavamo anche a un quintale di bachi”.

“Il baco da seta ha un certo odore – conclude -, mia mamma dipingeva le pareti per far andare via l’odore dei bachi una volta finito l’allevamento e si disinfettava tutto. I bachi che avanzavano andavano a Colbertaldo dove vendevano stoffa. Era un bel lavoro perché si riusciva a pagare la spesa, un guadagno importante per una famiglia”.

“Sono nata ad Osigo e ho 86 anni – racconta Irene, un’altra delle protagoniste dell’incontro -. Avevo 10-12 anni e si iniziava nei primi di maggio a portare a casa questi piccoli esserini neri. Li tenevamo in una stanza a parte, accendevamo la stufa e li lasciavamo lì. Per le prime settimane, dato che i bachi erano pochi e piccoli, si occupava solamente mia mamma di raccogliere le foglie nei gelsi e dargliele da mangiare. Noi bambini dovevamo aspettare che i bachi crescessero prima di dare loro le foglie.

“Noi facevamo un quintale e mezzo di bozzoli – conclude -. Non mi piaceva molto questo lavoro perché era sporco, però ero abituata, ogni anno c’era questa cosa da fare. Li portavamo a Vittorio Veneto, al centro Ecologico e a fine anno avevamo i mezzadri che facevano i conti. Con il guadagno ottenuto, prendevamo oggetti per lavorare la terra”.

“Abito ad Osigo e ho 94 anni – racconta infine Antonia -. Andavo alle elementari quando allevavamo i bachi. Quando tornavo da scuola me ne davano un po’ e aiutavo i miei parenti. Verso la fine dell’allevamento, andavamo a prenderli e li portavano nel solaio su un graticcio con la carta bucata a seconda della crescita dei bachi, usata per gli escrementi che cambiavamo ogni 48 ore. Sopra ci mettevamo la foglia, all’inizio tagliata fine, con i bachi. Avevamo un po’ paura, noi bambini, di toccare i bachi ma quando dovevano fare il bozzolo, andavamo nel bosco a raccogliere una specie di fieno e li mettevamo sopra i rametti. Ci piaceva vedere come i bachi salivano e facevano il bozzolo”.

“Le donne si occupavano di questo lavoro – conclude – l’allevamento dei bachi è un compito da donne. Era diventata un’abitudine, si sapeva che ogni anno bisognava farlo e ci dava tanto lavoro, più di un quintale di bozzoli. I guadagni li usavamo per i beni essenziali della famiglia. Come ricompensa del lavoro fatto con i bachi, ci regalavo i quaderni per andare a scuola”.

Il pomeriggio è terminato con le visite guidate all’allevamento e il laboratorio con l’utilizzo del bozzolo della seta.

(Foto: Qdpnews.it © riproduzione riservata).
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