Per gli obesi maggiori rischi di contrarre il Covid e di esiti gravi dell’infezione: la conferma dagli studi dell’Ulss 2

Nelle persone con obesità, e in particolare in coloro che presentano un’elevata percentuale di grasso viscerale, aumentano sia la probabilità di contrarre il Covid-19 sia l’evoluzione della malattia in forma grave o fatale.

Queste le conclusioni di due lavori, in via di pubblicazione su importanti riviste internazionali, cui ha contribuito l’Unità operativa di Geriatria dell’Ospedale di Treviso.

Il primo lavoro è una revisione della letteratura pubblicato sulla rivista Nutrients, dal titolo “The role of obesity, body composition and nutrition in Covid-19 pandemia”, opera del dottor Andrea Rossi, direttore della Geriatria dell’ospedale Ca’ Foncello, in collaborazione con il prof. Pellegrini e il prof. El Ghoch dell’Università di Reggio Emilia e con tre ricercatrici dell’Università di Verona: Valentina Muollo, Gloria Mazzali e Silvia Urbani.

“L’obesità – spiega il dottor Rossi – porta le persone che contraggono infezione da Covid-19 a essere più vulnerabili, sviluppando esiti peggiori che possono richiedere il ricovero in terapia intensiva. Questa revisione della letteratura si è concentrata sui risultati disponibili che hanno studiato il legame tra Covid-19, composizione corporea e stato nutrizionale. Altri componenti importanti come la bassa massa muscolare, la cosiddetta sarcopenia, e il grasso intermuscolare, aumentano la vulnerabilità nel contrarre il Covid-19, così come la mortalità, l’infiammazione e il danno a carico del muscolo. La malnutrizione è condizione prevalente nella popolazione affetta da Covid-19 grave – aggiunge il primario – ma permangono diverse questioni ancora da chiarire sulle strategie volte a ottimizzare lo stato nutrizionale per limitare il catabolismo e preservare la massa muscolare. Infine, con l’aumento dei pazienti che si stanno riprendendo da Covid-19, la valutazione e il trattamento in quelli con sindrome da long Covid possono diventare altamente rilevanti. È in corso una collaborazione con la dottoressa Micaela Romagnoli, direttrice del Reparto di Pneumologia del Ca’ Foncello, proprio sullo studio degli aspetti nutrizionali del long-Covid.

Il secondo lavoro “Epicardial adipose tissue volume and CT-attenuation as prognostic factors for pulmonary embolism and mortality in critically ill patients affected by Covid-19”, scritto dal dottor Rossi utilizzando i dati del prof. Leonardo Gottin e della professoressa Katia Donadello, ricercatori dell’Anestesia e Rianimazione dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Padova, diretta dal prof. Polati, ha dimostrato che non solo la quantità di grasso corporeo, ma anche la sua distribuzione sembra svolgere un ruolo cruciale nella gravità del Covid-19.

Rispetto all’indice di massa corporea (BMI), il tessuto adiposo viscerale e il grasso intratoracico sono risultati infatti migliori predittori della gravità di Covid-19, aumentando la necessità di ricovero in terapia intensiva e ventilazione meccanica invasiva.

“In questo lavoro – spiega ancora il dottor Rossi – in una popolazione di 156 soggetti ricoverati nella Terapia Intensiva di Verona durante la prima e seconda ondata di Covid-19, è stato rilevato che avere un’elevata quantità di grasso attorno al cuore, valutato mediante Tac, determina un rischio aumentato di tre volte di decesso nei primi 28 giorni di ricovero. Abbiamo inoltre osservato che il grasso epicardico, misurabile anche con una semplice ecografia, si associa ad un maggiore rischio di embolia polmonare in pazienti ricoverati in rianimazione con forme di Covid severo”.

(Foto: archivio Qdpnews.it).
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