Valdobbiadene, preghiera come antidoto alla solitudine. Don Francesco: “Quando ch’el corpo se frusta, l’anima se giusta”

L’emergenza Coronavirus ha messo alla prova anche molte parrocchie dell’Alta Marca Trevigiana che sono state costrette a riorganizzarsi per affrontare al meglio il rischio contagi.

Un anno difficile e complicato, nel quale le persone sono state segnate nel corpo e nello spirito, mettendo spesso in discussione il loro rapporto con Dio o, al contrario, rafforzando i momenti di preghiera. 

Anche il parroco di Valdobbiadene, don Francesco Santinon, ha combattuto la sua personale battaglia contro il Covid, contratto a fine dicembre, cercando di portare avanti la sua parrocchia insieme a tanti collaboratori che hanno lavorato senza sosta per non fermare le attività.

“È stato un anno di prova per tutti – ha spiegato don Francesco -, un tempo di verifica e di collaudo. In alcune occasioni abbiamo dimostrato di essere una società pagana con qualche reminiscenza cristiana perché in situazioni come queste si capiscono tante cose. Io sono stato in isolamento 20 giorni: per me è stato un limbo. Dobbiamo ricordarci che il soggetto non è la guida della parrocchia e il sacerdote è funzionale alla comunità. In questa pandemia ho visto delle persone che in termini istituzionali e non si sono rese portavoce ed espressione della comunità parrocchiale di Valdobbiadene”.

Don Francesco ha aggiunto che nei momenti più difficili, anche quando non ha potuto seguire di persona le attività della parrocchia, ci sono state delle persone che hanno gestito la comunità con una responsabilità e una dedizione veramente encomiabili, a volte perfino commoventi.

“La gente ha percepito il mio ruolo di ‘pastore’ e ho sentito le persone molto vicine e partecipi – aggiunge il parroco di Valdobbiadene – Quando il virus ti prende sei ‘un pulcino bagnato’ e inevitabilmente scatta un meccanismo di autodifesa e ti chiudi in te stesso. ‘Quando ch’el corpo se frusta, l’anima se giusta’: quindi in questi momenti sentiamo la preghiera come esperienza di appartenenza, di comunione e di invocazione. La preghiera allora diventa antidoto alla solitudine”.

A distanza di un anno, con il passaggio del Veneto e di altre Regioni italiane in zona rossa, ci ritroviamo ancora al punto di partenza e cresce il malcontento tra le persone.

“Anche se ora il contesto è diverso – continua don Francesco -, con i vaccini e tutta l’esperienza che abbiamo acquisito, è passato comunque un anno: un periodo che ci ha stancato, sfiancato, sfibrato e depresso. Non c’è più la poesia dei primi tempi e dalla poesia siamo passati alla prosa, a distanza di un anno per alcuni siamo passati addirittura alla tragedia anche se a Valdobbiadene siamo messi meglio di altre zone. Per gli anelli deboli della catena sociale, soprattutto gli extracomunitari e chi aveva lavori un po’ precari, non c’è più l’arcobaleno. Se glielo mostri o gli spari la frase ‘andrà tutto bene’, si offendono e hanno ragione”.

“Ho la sensazione che come parrocchia e come Caritas abbiamo avuto una certa attenzione – conclude – e lavoriamo bene con i servizi sociali del Comune di Valdobbiadene. Abbiamo attivato l’operazione diocesana della ‘Parrocchia solidale’ e stiamo cercando di pensare alle persone in difficoltà anche se la situazione è molto difficile. Questa pandemia per molti è stata un’occasione di maturazione di una sensibilità spirituale, non solo per anziani ma anche per persone di mezza età. Siamo nell’angoscia e nell’ansia ma per i cristiani la celebrazione dell’Eucaristia è la vera forza del credente: se Dio ci nutre non ci può abbandonare”.

(Foto: Archivio Qdpnews.it).
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